Le Pietre Coti: le pietre abrasive che hanno fatto la storia dell’agricoltura
Circa 180 milioni di anni fa, durante il Giurassico, in una piccola zona al fondo della Tetide, l’antico oceano da cui si sono formate gran parte delle nostre rocce, si accumularono milioni di minuscoli aghetti silicei. Questi aghetti, noti come “spicole”, sono i resti di spugne, morbidi organismi che si sono trasformati in fossili. Questa eccezionale concomitanza di fattori naturali ha dato vita a una roccia molto particolare, le Pietre Coti, utilizzate come pietre utensili grazie alla loro capacità abrasiva per affilare o molare elementi metallici, soprattutto attrezzi da taglio come le lame delle falci fienaie, dei falcetti e dei coltelli.
Le Pietre Coti sono formate dalla combinazione di granuli duri di composizione silicea, le spicole delle spugne, e parti più tenere, la fanghiglia di composizione calcarea. Questa combinazione conferisce alle Pietre Coti il potere abrasivo necessario per abradere e smussare le irregolarità e le sbavature dei manufatti in acciaio. Le parti tenere si consumano durante il processo di molatura delle lame o con un poco di acqua acidula, mantenendo la superficie della pietra abrasiva efficiente e fresca con nuovi granuli abrasivi pronti a levigare.
La roccia coltivata per la produzione delle Pietre Coti è limitata ad alcuni sottili livelli, spessi pochi centimetri, che affiorano in alcune località della bergamasca, ma soprattutto in bassa Val Seriana presso Pradalunga. Per questo motivo, le Pietre Coti venivano estratte anche in galleria, seguendo nel ventre della montagna i livelli “buoni”, spesso al buio o con illuminazione minima. Il materiale estratto veniva poi mandato ai laboratori, in paese, dove sotto le tettoie veniva sagomato nella tipica forma a ovale allungato e accuratamente rifilato dalla cosiddetta “fitadura”, l’operazione di rifinitura. Una volta pronte, le Pietre Coti venivano avvolte nella paglia, imballate in casse di legno e spedite a destinazione anche in paesi lontani.
Nel contesto dell’economia agricola, le Pietre Coti erano un utensile indispensabile per i lavori di mietitura delle messi e di fienagione da inizio aprile ad ottobre. Le fasi e la gestualità dell’affilatura, oggi come allora, sono quasi un rito. Prima di iniziare e periodicamente durante lo sfalcio, ci si ferma, si batte la lama con il martello per aumentare la durezza del metallo, si estrae la cote dal “codèr” (il porta cote, una tasca appesa alla cintura in cui si mette un po’ d’acqua per aver la cote sempre pronta) e poi si passa la cote alternativamente sui due lati della lama, levigandola, mantenendo l’apertura del filo molto stretta, tra 10 e 15 gradi.
L’affilatura realizzata con la Pietra Coti è particolarmente efficace perché molto delicata e omogenea, non invasiva né aggressiva per il metallo e assicura alla lama una longevità senza pari. Le Pietre Coti sono state compagne di lavoro inseparabile di chi lavorava la terra e, custodite nel “codèr”, seguivano gli emigranti delle nostre valli che partivano per le terre d’oltreoceano, per le Americhe o per l’Australia. Perché parlavano di casa, ma anche perché in nessun altro posto al mondo si potevano trovare pietre altrettanto efficaci.