Fiume, la città portuale che si affaccia sull’Adriatico, ha vissuto momenti di grande tensione durante la Seconda Guerra Mondiale. Nel maggio del 1945, le truppe del leader della resistenza comunista jugoslava Josip Broz Tito entrarono nella città, dopo la ritirata dei soldati tedeschi che fecero esplodere le mine che avevano sparso nel porto, danneggiandolo gravemente. La popolazione si rifugiò in casa, in attesa degli eventi.
Tito aveva propositi espansionistici per la rinascente Jugoslavia e la Venezia Giulia, che comprendeva anche Fiume, era una delle zone che desiderava annettere. Zara era già stata occupata nel novembre precedente, Trieste il primo maggio e nei giorni seguenti anche il resto della regione. Fiume subì così quaranta giorni di occupazione militare, durante i quali furono epurati ex fascisti, rappresentanti del patriottismo locale, partigiani tornati dai campi di concentramento nazisti e rappresentanti dell’autonomismo fiumano.
L’autonomismo fiumano era stato perseguitato dal fascismo e sopravvisse in clandestinità, sognando il ritorno alla Fiume autonoma, multietnica e multiculturale che prosperò attorno al suo porto franco nell’ambito della monarchia asburgica. Ma non c’era spazio per l’autonomismo fiumano nella nuova Jugoslavia federale, forgiata dal Partito Comunista Jugoslavo e dalle sue diramazioni territoriali. Si auspicava una “settima repubblica” associata a Belgrado, ma senza l’autonomia per Fiume.
La fine degli autonomisti fiumani è stata recentemente oggetto di una videoconferenza organizzata dal Comitato provinciale di Milano dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia. Marino Micich, Direttore dell’Archivio Museo Storico di Fiume a Roma, ha parlato della persecuzione degli autonomisti fiumani, colpiti insieme a tutti gli oppositori del progetto annessionista titino. La città di Fiume ha vissuto momenti difficili durante la Seconda Guerra Mondiale e la sua storia è stata segnata dalla lotta per l’autonomia.