Silvio Berlusconi muore da incensurato: la fine di una lunga lotta tra magistratura e politica. L’ex presidente del Consiglio, scomparso oggi all’età di 86 anni al San Raffaele, ha affrontato ben 30 processi in tutta Italia, ma solo uno si è concluso con una condanna definitiva: 4 anni di carcere, 3 dei quali coperti da indulto, per la frode fiscale da 7,3 milioni di euro commessa con la compravendita dei diritti tv Mediaset. Berlusconi ha dovuto chiedere l’affidamento in prova ai servizi sociali, ma ha affrontato la situazione con il solito sorriso. Anche la sua incandidabilità, che lo ha portato alla decadenza da senatore a vita per la Legge Severino, è durata solo sei anni, fino a quando il Tribunale di Sorveglianza lo ha riabilitato nel 2018. Il caso Ruby è stato forse il processo più doloroso per Berlusconi, che lo hanno costretto alla ribalta mediatica su tutte le testate internazionali. Anche qui è uscito con una assoluzione piena e definitiva. Il rapporto tra Berlusconi e la magistratura ha segnato per decenni il dibattito sulla giustizia in Italia, inasprendo lo scontro tra garantisti e giustizialisti. L’immagine più intensa di questo scontro è datata 11 marzo del 2013 quando nella storia italiana il conflitto tra politica e giustizia subisce una escalation senza precedenti. Udienza del processo Ruby: Berlusconi è ricoverato al San Raffaele per l’uveite. I giudici non credono al suo legittimo impedimento a essere in aula e dispongono una visita fiscale ad Arcore. E a quel punto un centinaio di parlamentari del suo partito intonano l’inno di Mameli sulle scalinate del Tribunale. Ilda Boccassini, la magistrata simbolo di questo scontro, fa chiudere l’aula per non farli entrare. La morte del Cavaliere rappresenta la fine di un’epoca, ma anche la fine di una lotta che ha segnato la storia della giustizia italiana.

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