La Corte di Cassazione ha deciso di annullare la sentenza della Corte d’Appello che aveva previsto un risarcimento di 300mila euro per ingiusta detenzione per Stefano Binda, assolto in via definitiva dall’accusa di essere l’omicida di Lidia Macchi, la giovane trovata morta nel gennaio del 1987 a Cittiglio (Varese). La Corte ha accolto l’istanza di impugnazione presentata dalla Procura Generale, la quale ha sostenuto che Binda, non rispondendo all’interrogatorio di Garanzia dopo il suo arresto, ha contribuito all’errore sulla sua carcerazione.

Binda, assistito dall’avvocata Patrizia Esposito, dovrà quindi affrontare un nuovo processo per ottenere un eventuale risarcimento. L’avvocata, “rimasta senza parole”, ha dichiarato che commenterà la decisione della Corte di Cassazione solo quando si avranno le motivazioni.

La vicenda di Stefano Binda è stata lunga e dolorosa. Dopo l’omicidio di Lidia Macchi, la polizia si è concentrata su di lui, che venne arrestato e condannato in primo grado a 30 anni di reclusione. Nel 2010, però, la Corte di Cassazione annullò la condanna e Binda venne assolto con formula piena.

Nonostante la sentenza di assoluzione, Binda non ha mai ricevuto un risarcimento per l’ingiusta detenzione subita. La Corte d’Appello di Milano, infatti, aveva deciso di riconoscergli un risarcimento di 300mila euro, ma la decisione è stata annullata dalla Corte di Cassazione.

La decisione della Corte di Cassazione è stata accolta con sorpresa e delusione da parte di Binda e della sua avvocata. Ora il processo ripartirà da zero e Binda dovrà dimostrare ancora una volta la sua innocenza. Una vicenda che, dopo più di trent’anni, sembra non avere ancora una fine.

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