La riforma della giustizia proposta dal Guardasigilli Carlo Nordio, se approvata dal Parlamento, potrebbe portare all’eliminazione dell’abuso d’ufficio dall’ordinamento giuridico italiano. L’abuso d’ufficio è un reato che viene commesso da pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio che approfittano del proprio potere per avvantaggiare o danneggiare ingiustamente qualcun altro, violando una legge o un regolamento. Se la riforma sarà approvata, le condanne passate in giudicato saranno cancellate con effetto retroattivo grazie all’abrogazione dell’articolo 323 del codice penale.
Tuttavia, questa riforma preoccupa molti magistrati che rischiano di non poter più perseguire comportamenti evidentemente rilevanti sul piano del disvalore. Inoltre, il pubblico ufficiale che violi “specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità” resterà punibile. Gli atti dei sindaci e degli assessori, invece, sono praticamente sempre discrezionali, perché la legge assegna loro soltanto le “funzioni di indirizzo e controllo politico-amministrativo”: tutto il resto spetta ai dirigenti.
Inoltre, l’abuso d’ufficio è una fondamentale norma di chiusura del sistema, indispensabile per colpire “episodi di malaffare in odore penalistico non inquadrabili in altre fattispecie dai contorni meglio definiti, come la corruzione, il traffico di influenze illecite, il peculato o la turbativa d’asta”, come scrive il professor Gian Luigi Gatta, ordinario di Diritto penale alla Statale e già consulente giuridico dell’ex ministra Marta Cartabia.
Infine, la “paura della firma” dei sindaci, che Nordio ha sostenuto essere un problema, è sostanzialmente una bufala. Nel corso degli anni, infatti, la fattispecie è stata progressivamente svuotata, mentre lo standard probatorio richiesto si è alzato a dismisura. Dopo la riforma del 2020, è quasi impossibile che un sindaco sia indagato per abuso d’ufficio: resta punibile solo il pubblico ufficiale che violi “specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità”. Gli atti dei sindaci e degli assessori, invece, sono praticamente sempre discrezionali, perché la legge assegna loro soltanto le “funzioni di indirizzo e controllo politico-amministrativo”: tutto il resto spetta ai dirigenti.