Da “malfattore” a “truffatore”, passando per il classico “delinquente” fino ad arrivare alle accuse più gravi di uomo “manipolatore”, legato a “strani giri che hanno a che fare con scandali sessuali e congressi carnali”.

Queste ultime due accuse, rivolte in rete da un sessantenne di Luino appartenente a una confessione religiosa, verso chi l’ha denunciato, risultano essere le più gravi per due motivi: la parte offesa è un padre spirituale di questa comunità religiosa di Livorno, che ricopre anche ruoli importanti come referente dei problemi legati al cyberbullismo in un istituto superiore toscano.

Ma le espressioni diffamatorie, nelle quali l’offeso si riteneva riconoscibile e aggravate dall’uso dei mezzi informatici (Facebook e YouTube, oltre a messaggi in un blog, per la legge “diffamazione aggravata”), non sono sufficienti per ottenere una condanna da parte del giudice, dal momento che è necessaria la prova che dietro a quelle espressioni vi sia la persona a giudizio. Secondo il giudice monocratico di Varese, questa prova non è stata raggiunta, probabilmente a causa dell’assenza dei “file di log” che mancano nel fascicolo del pubblico ministero.

Si tratta di particolari file che registrano tutto ciò che viene eseguito da un programma informatico o da un computer: sono, in processi come questi, gli elementi in grado di collegare l’offesa a uno specifico soggetto autore dell’offesa stessa.

Ma questi file non sembrano essere stati inclusi nel processo, come ha ricordato l’avvocato difensore dell’imputato, un 62enne di Luino che è stato assolto con formula piena, “per non aver commesso il fatto”. Il pubblico ministero aveva chiesto 4 mesi di reclusione per le condotte durate dal novembre 2020 al dicembre 2021, mentre la parte civile aveva presentato una richiesta di risarcimento civile di 200 mila euro “per la lesione dell’onorabilità patita dalla parte offesa, ministro di culto e professore che si batte proprio contro il cyberbullismo”.

Ma, come anticipato, è arrivata l’assoluzione. Tutto è iniziato dopo la denuncia querela del ministro di culto, che aveva riconosciuto nell’imputato l’autore di alcune espressioni diffamatorie in un video su YouTube (poi risultato irrintracciabile) e di quelle frasi pesanti legate a un profilo Facebook con nome e cognome dell’imputato: “Ma senza i file di log”, ha spiegato l’avvocato Salomone in aula nella sua arringa, “non vi è la prova che dietro a quel profilo vi sia l’imputato stesso. Pertanto, va assolto”.

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