“Ringrazio per le condoglianze. Me le ha fatte lei e l’assistente sociale che seguiva il caso dei miei fratelli, ma solo lunedì, però, dopo che erano morti da giorni. Dalla sindaca non una parola. Non un piccolo fiore in omaggio ai miei fratelli. Una vergogna. Se fossero almeno stati aiutati un po’ di più, in vita, invece niente. Figli di un Dio minore. E come tali hanno fatto la fine che hanno fatto”.

È amareggiata Donatella Carnevali, la sorella maggiore di Massimo, 52 anni, e Stefano, 51, morti a pochi giorni di distanza uno dall’altro, in tristi circostanze e in balia di un degrado e di una solitudine marcati che hanno connotato gli ultimi anni della loro esistenza, trascorsa in una mansarda di un caseggiato di Delebio, nei pressi della strettoia sulla statale. Sabato 8 luglio Massimo è stato rinvenuto cadavere sabato 8 luglio, sulla poltrona del soggiorno, morto per malore da almeno 48 ore, mentre il fratello Stefano, non deambulante in seguito a un infortunio sul lavoro avvenuto alcuni anni fa, si disperava nel chiedere aiuto.

“Aveva lasciato il cellulare nel soggiorno – racconta la sorella Donatella -, per cui non riusciva a comunicare. Io stessa da Verona, dove vivo con mio marito e mia figlia disabile, continuavo a chiamare, sia Massimo sia Stefano, per sapere come stavano, ma nessuno mi rispondeva. Dentro di me sentivo che qualcosa non andava, ma ho atteso a chiamare aiuto perché temevo che poi mi rimproverassero per aver sobillato mezzo mondo. Era meglio se chiamavo”.

È stato quindi un caso se il vicino di casa dei due uomini, di origini marocchine, che dava loro sempre una mano, passando dalla zona della mansarda per andare in soffitta sentisse le grida di aiuto di Stefano. Ha aperto la porta e ha visto Massimo sulla poltrona e Stefano riverso sul letto, completamente disidratato. Non beveva da almeno 48 ore e più. Portato in ospedale a Gravedona è mancato anche lui nella notte fra martedì e mercoledì.

“E nessuno mi ha avvisata – dice la sorella -, l’ho saputo per caso mercoledì sera. Ho chiesto, comunque, le cartelle cliniche perché voglio sapere di cosa è morto mio fratello, pesava 40 chili, era denutrito da tempo, non solo da 48 ore. Ho perso tre fratelli in un anno e mezzo, ho una figlia disabile, la mamma con demenza senile in Rsa che non sa, per ora, della morte dei figli, e più di quello che faccio non riesco a fare. I miei fratelli, pur con tutti i loro problemi, avevano bisogno di più aiuto del pacco mensile e della bombola del gas. E pure di un’ora di assistenza domiciliare al giorno. Ora ho fatto le pratiche perché le salme tornino qui, a casa, a Verona”.

Delebio, comunque, martedì non ha esitato a tributare l’ultimo saluto ai due fratelli, perché nonostante i funerali siano avvenuti in un giorno feriale, caldissimo, e con gran parte dei residenti in baita in montagna, i fedeli non sono mancati. Il celebrante, don Eugenio Bulanti, in servizio in vece del parroco, che, affiancato dal diacono Marco Gherbi, ha affrontato con garbo un passaggio non facile. Il Vangelo di Marco “Si è rifatto al Vangelo di Marco – riferisce il diacono Gherbi – nella parte in cui parla della crocefissione, morte e risurrezione di Cristo. Ha cercato di infondere coraggio e speranza ai presenti, ai parenti stretti, in primis, ricordando che Dio non abbandona mai nessuno e che nessuno può morire solo, perché il Signore è sempre al fianco di chi soffre. E ha rassicurato circa la riconciliazione in Cristo degli sfortunati fratelli”.

Parole che hanno avuto un effetto balsamo su tutti i partecipanti alla celebrazione, anche se questo distacco così triste dalle cose terrene, frutto della solitudine di vite finite al margine e che non riescono più a tornare “al centro”, lascia prostrati. Sulla vicenda occorsa ai suoi concittadini, da noi interpellato, il sindaco del posto non ha inteso rilasciare dichiarazioni.

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