Il 7 luglio scorso si è verificato un episodio inaccettabile presso la struttura di piazzale Accursio. Quattro chiamate di soccorso rimaste senza risposta alle forze dell’ordine. La denuncia è stata presentata alla procura e al Prefetto.

La dottoressa A. D. ha chiamato quattro volte per chiedere aiuto. La prima chiamata al 112 è avvenuta alle 12:29 e ha durato 4 minuti e 37 secondi. Poi la linea è caduta, “come se l’operatore avesse riagganciato volontariamente”. Richiama alle 12:34 (3 minuti e 7 secondi). Poi ancora alle 12:40 (1 minuto e 25); infine l’ultimo tentativo: 12:41, in linea per 7 minuti e 3 secondi. È la tarda mattinata del 7 luglio, il luogo di questa storia grottesca e incredibile – che ora è oggetto di indagine da parte del Prefetto e della procura – è il Serd, il Servizio dipendenze dell’Ats, a piazzale Accursio. Due tossicodipendenti in fila per gli esami iniziano a litigare. Sono già conosciuti, subito gli animi si scaldano. La lite sfocia “in uno scontro fisico di inaudita ferocia”, come dichiarato dalla dottoressa che lavora per l’Asst Fatebenefratelli-Sacco in una lettera-esposto inviata al Prefetto. Uno dei due prende l’altro per la testa, lo sbatte sul cemento, calci e pugni. E soprattutto sangue. La gente scappa, i medici si rifugiano negli uffici. È in quel momento che la dottoressa si aggrappa, inutilmente, al telefono. Perché in realtà alle richieste d’aiuto al 112 e di conseguenza alla centrale operativa della polizia competente sulla zona, non farà seguito l’arrivo di nessuna pattuglia. Neppure quando la guardia giurata della Italpol, una donna di 56 anni, interviene per cercare (invano) di fermare l’aggressione. La donna viene colpita con pugni, calci e gomitate: “Guardia di m…, chiama pure i carabinieri che sputo in faccia a te e a loro, infame di m… tu e gli sbirri”. La donna sarà portata al Sacco, non solo per i colpi ricevuti, ma anche per gli schizzi di sangue dei due tossicodipendenti, uno dei quali positivo all’epatite C e a rischio HIV. Quando arriva l’ambulanza c’è un altro problema: la donna non può salire armata. Ma nessuna pattuglia interviene, anche in questo caso. Così è il marito della 56enne, che lavora come carabiniere, a correre in suo aiuto e a farsi consegnare la pistola. Alla fine della lite si scopre inoltre che uno dei due aveva due coltelli in tasca. “Li avrei usati”, dice con aria di sfida ai medici. La vicenda è kafkiana. Perché sembra incredibile che in un ufficio pubblico, con una clientela ad alto rischio, nel bel mezzo di una rissa violenta, le forze di polizia non siano intervenute. Il caso ora è anche in mano alla procura dopo la denuncia presentata dalla guardia giurata non solo per le lesioni (e il rischio di contagio non ancora escluso) ma anche nei confronti degli operatori del 113 della polizia per chiarire i motivi del mancato intervento delle Volanti. L’avvocato della donna ha richiesto l’acquisizione delle quattro telefonate. Secondo la questura, nelle chiamate di soccorso “non era rappresentato un pericolo imminente”. Anche se l’ospedale Fatebenefratelli sta effettuando ulteriori verifiche sulle registrazioni. La versione della dottoressa parla invece di richieste urgenti, concitate e ripetute di soccorso. Poi c’è la parte amministrativa. La prefettura ha chiesto chiarimenti alla questura sull’incidente e sulle registrazioni delle telefonate al 112 e alla centrale operativa di via Fatebenefratelli. Anche perché la sicurezza dei medici è un argomento molto delicato e già oggetto di discussione nel Comitato provinciale per l’ordine pubblico coordinato dal prefetto Renato Saccone. Sempre a luglio, il 19, un medico del Policlinico era stato brutalmente aggredito dal figlio psichiatrico di una paziente: la gamba era stata rotta in tre punti.

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