Il carcere italiano è un argomento che solleva molte polemiche e dibattiti. Recentemente è stato proposto un nuovo articolo del codice penale, l’articolo 415-bis, che prevede un aumento della pena per chi promuove, organizza o dirige una rivolta all’interno di un istituto penitenziario. Questo nuovo articolo, se approvato, cambierà la natura del carcere, ma non in maniera educativa come ci si aspetterebbe.
L’articolo non risolve i problemi di sovraffollamento, mancanza di personale e strutture fatiscenti, né aiuta il personale medico e gli infermieri. Inoltre, non fa nulla per arginare il numero crescente di suicidi. Si tratta di un approccio autoritario che sostituisce la vendetta alla giustizia.
Secondo Patrizio Gonnella, presidente di Antigone, per essere puniti basta poco: se tre persone detenute si rifiutano di obbedire agli ordini di un poliziotto, anche in maniera non violenta, scatterà la denuncia per rivolta. Questo comporterà una pena più lunga per il detenuto, paragonabile a quella per i delitti di mafia e terrorismo.
Questo approccio non risolve i problemi di coloro che vivono in carcere, sia detenuti che agenti. Si appaga solo l’istinto, con il rischio di ritrovarci a discutere della pena di morte. Secondo un rapporto Censis, circa il 44% dei cittadini italiani è favorevole all’introduzione della pena di morte.
È necessario riflettere profondamente su questo tema e la cultura e l’arte possono aiutarci. Ad esempio, la fotografa Luisa Menazzi Moretti porta a Brescia il progetto sulla pena di morte “Ten Years and Eighty-Seven Days”, con il quale ha vinto un premio internazionale di fotografia. Nelle sue opere, non si parla della pena di morte, ma si racconta la vita sospesa dentro il carcere di Livingston, Texas, dove sono state giustiziate 583 persone dal 1982 al marzo di quest’anno.
Le opere di Menazzi Moretti esprimono le emozioni di uomini e donne che aspettano l’esecuzione, che cercano libertà, chiedono perdono, riflettono sulla loro condizione e invocano il tempo che passa. La mostra non è un reportage, ma un viaggio attraverso la sofferenza che rimette al centro l’essere umano.
La mostra sarà esposta al Macof – Centro della fotografia italiana di Brescia dal 26 novembre al 24 dicembre e merita sicuramente di essere visitata.