Come è stato possibile dilapidare un patrimonio da oltre un milione di euro in pochi anni e finire in povertà? La storia della donna di Busto Arsizio, figlia di una facoltosa famiglia di Busto Arsizio, è tornata in aula ieri davanti al giudice Daniela Frattini è stato il turno di un maresciallo della Guardia di Finanza che ha svolto le indagini ma anche di due dei tre protagonisti finiti sotto accusa per circonvenzione di incapace nei confronti di due donne.

Per la Guardia di Finanza è indubbio che i tre imputati (un infermiere, un architetto e un sedicente agente immobiliare) abbiano creato una tela di ragno attorno alle due donne finalizzata ad appropriarsi dei beni e dei capitali da queste detenuti attraverso vari stratagemmi ed ognuno con un ruolo ben preciso. Ieri, però, sia l’infermiere (in carcere da agosto) che l’architetto (attualmente ai domiciliari) hanno voluto difendersi e dire la loro.

L’operatore sanitario cinquantenne ha parlato per oltre un’ora ribadendo l’affetto che proverebbe per le due donne che ora lo accusano di averle raggirate e spogliate dei loro beni: «Tutto quello che è stato fatto coi loro averi è certificato da direttori di banca, consulenti e notai. Non mi sono mai appropriato di soldi che loro stesse hanno deciso di darmi volontariamente in cambio delle cure e dell’affetto che ho dato. Io le ho accudite e ho accudito le loro madri, nel frattempo facevo tre lavori e guadagnavo 12 mila euro al mese. Poi per seguirne una in particolare, su richiesta sua, ho lasciato due dei tre lavori che facevo con l’idea di aprire questo poliambulatorio. Forse mi sono fatto ingolosire ma non era mia intenzione prenderle in giro».

Una difesa, quella dell’infermiere, che ha ammesso solo i prestiti (125 mila euro) ottenuti e una generica promessa «a restituirli al più presto» mentre nei confronti dell’altra presunta vittima ha negato di aver sperperato soldi. Tra le righe, però, ha anche ammesso di aver un problema col gioco e con le scommesse, senza mai quantificare quanto spendesse e quanti debiti avesse contratto. Secondo la sua ricostruzione la prima presunta vittima di Busto Arsizio avrebbe sperperato centinaia di migliaia di euro in cartomanti e vacanze al Twiga di Forte dei Marmi.

Più breve la difesa dell’architetto, chiamato a rispondere solo di alcune delle somme che avrebbe ottenuto per lavori di cui non si hanno prove di esecuzione: «Non ho mai approfittato di queste persone. I lavori che mi sono stati commissionati li ho eseguiti tutti tranne l’ultimo che sarebbe dovuto partire questo inverno ma poi sono stato arrestato e non ho potuto portare avanti niente. Riguardo l’appartamento che ho acquistato dalla signora di Busto Arsizio confermo che i soldi vengono da un mio zio che li aveva risparmiati e me li aveva affidati per un investimento immobiliare». Riguardo al vizio del gioco e ai debiti, a differenza dell’amico Fera, ha sostenuto di non aver alcun problema di dipendenza: «Ho una scuderia con sei cavalli e conosco l’ambiente delle scommesse ma di certo non ho problemi di dipendenza».

Ludopatici e spregiudicati, così agivano l’infermiere e i suoi complici che raggiravano donne fragili.

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