Il caso Ilaria Salis ha suscitato un acceso dibattito sulla sua figura, dividendo l’opinione pubblica tra coloro che la considerano un’eroina antifascista e coloro che la accusano di violenza ingiustificata. Repubblica ha riportato le proteste e la mobilitazione in suo favore, dipingendola quasi come una martire. Nonostante le accuse nei suoi confronti, le richieste di “Riportiamo a casa Ilaria” o “Ilaria subito libera” si diffondono.

Le immagini dell’udienza in Ungheria, con Salis in catene in aula, sono diventate un pretesto per concentrarsi sulle condizioni carcerarie, distogliendo l’attenzione dal suo comportamento violento. Mentre il suo compagno tedesco si è dichiarato colpevole e condannato, Salis proclama la sua innocenza. La stampa, in particolare Repubblica, sembra adottare un tono di solidarietà, mettendo in risalto manifestazioni di sostegno che la presentano come “l’insegnante antifascista”.

Tuttavia, l’articolo critica questo atteggiamento, sottolineando l’illusione di considerare l’etichetta “antifascista” come qualcosa di concreto e ideologico. L’autore suggerisce che l’antifascismo non è una vera e propria ideologia, ma piuttosto un periodo storico, e mette in guardia dal supportare ciecamente chiunque si autodefinisca “antifascista”. Infine, si affronta il tema delle condizioni carcerarie in Ungheria, riconoscendo che se vi sono problematiche, queste vanno affrontate, ma senza confondere la richiesta di giustizia con la difesa di chi ha commesso atti violenti senza giustificazione difensiva.

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