Come insegnante di storia e filosofia, mi sono trovato di fronte a una situazione inaspettata durante una lezione sulle stragi di Piazza Fontana. Cinquanta anni dopo quegli eventi, mi sono reso conto che molti studenti non sapevano nulla o quasi di quello che era accaduto. Questo mi ha fatto riflettere sulla memoria collettiva e sul modo in cui viene trasmessa la storia.

Personalmente, ho vissuto da vicino gli eventi legati alla strage di Piazza Fontana, in quanto nipote di un giudice che aveva indagato su quei fatti. La morte di mio zio, Emilio Alessandrini, ucciso dai terroristi rossi di Prima Linea, ha segnato profondamente la mia famiglia e la mia vita. Questo evento ha rappresentato per me un blocco, una storia di cui non ero mai riuscito a parlare.

Negli anni, ho assistito a diverse narrazioni sulla violenza politica in Italia, dalla giustificazione dei terroristi alla testimonianza dei famigliari delle vittime. Tuttavia, nessuna di queste narrazioni mi sembrava completa o soddisfacente. Ho deciso quindi di scrivere un libro su mio zio Emilio, intitolato “Un eroe comune”, per cercare di capire come una persona amata e rispettata possa diventare vittima della violenza politica.

Guardando indietro, ho compreso che il ricordo di mio zio Emilio è diventato parte integrante della storia repubblicana italiana, un simbolo della lotta contro l’ingiustizia e la violenza. Attraverso il mio libro, ho cercato di restituire dignità e significato alla sua memoria, rendendola parte di una narrazione più ampia sulla nostra storia collettiva.

In conclusione, riflettendo sulla mia esperienza personale e professionale, ho imparato che la memoria storica va preservata e tramandata con attenzione e rispetto. Ogni evento, anche il più doloroso, ha il potere di insegnarci qualcosa di importante sulla nostra identità e sui valori che ci guidano come società. È solo attraverso la conoscenza e la comprensione del passato che possiamo costruire un futuro migliore per tutti.

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