I varesini più anziani lo ripetevano sempre, “quando si sente il profumo di caffè, vuol dire che cambia il tempo”, e puntualmente arrivava la pioggia, perché l’atmosfera bassa non permetteva agli aromi di salire verso l’alto. Era il segnale che “La Brasiliana” stava tostando, e i composti volatili del caffè si diffondevano da via Manzoni fino a via Vittorio Veneto, suscitando il desiderio di entrare subito nel locale di Clemente Zambelli per gustare un espresso come si deve. Il segnale del tempo funzionava sempre, poiché la figlia di Clemente, Antonella, continua a gestire con fermezza il negozio che da sempre è un punto di ritrovo, e la fantastica macchina di torrefazione in ghisa della ditta Trabattoni di Lecco diffonde un profumo tra i più suggestivi in assoluto.

La storia del caffè preferito dai varesini e dai turisti inizia nel 1932, quando Carlo Zambelli, rimasto vedovo, si trasferisce da Abbiategrasso a Varese con i suoi due figli, Clemente e Mario, e decide di importare dall’Brasile i preziosi chicchi, avviando l’attività di torrefazione in via Ugo Foscolo.

“Mio papà aveva sedici anni all’epoca, ma già aiutava mio nonno, e nel 1948 i due fratelli si divisero i compiti: Mario andò a Milano per occuparsi dell’importazione del caffè crudo, mentre Clemente si occupò della tostatura e della vendita a Varese, insieme a mia madre Franca e naturalmente a Carlo”, racconta Antonella Zambelli, sempre presente in negozio insieme ai quattro dipendenti.

Durante la guerra, la mancanza di elettricità rendeva difficile servire il caffè al bancone, ma il nonno materno di Antonella, Bosoni, disegnatore meccanico alla Macchi, inventò una macchinetta a petrolio che funzionava alla perfezione. Tostare il caffè non era un problema, poiché la macchina era alimentata a carbone e legna. In quel periodo, via Ugo Foscolo era molto viva, con panettieri e macellai, e quest’ultimo chiese a mio padre come riuscisse a servire il caffè senza elettricità, e lui, amante degli scherzi, gli rispose: “Me sont tacàa al tram”, facendo credere al macellaio di aver fatto un collegamento alla rete tramviaria che attraversava la città, grazie a un permesso speciale del comune. Il macellaio ci credette e si recò subito in comune, sperando di ottenere elettricità a buon mercato. La cosa finì addirittura sui giornali, e da allora il “tàches al tram” è diventato un detto comune.

Nel 1974, Clemente Zambelli trasferì l’attività in via Manzoni, facendo scrivere a mano sul muro dietro le macchine per l’espresso: “O café è a vitamina do espirito”, con delle bandierine del Brasile a fare da cornice.

“Pian piano abbiamo deciso di vendere anche altri prodotti, poiché la licenza parlava di “droghe e coloniali”, e oggi offriamo molte varietà di tè, cioccolato, infusi, oltre a servire anche la crema di caffè, il caffè freddo al ginseng e naturalmente cappuccini”, sottolinea Antonella, che ha un passato da ballerina.

“Il nostro caffè proviene da Trieste, dove viene selezionato con appositi crivelli che ne differenziano la dimensione dei chicchi e viene insaccato. Proviene da Brasile, Colombia, Guatemala, Nicaragua e India, con varietà come “Plantation tipo A”, “India Plantation Boba Buda” e “Tanzania”. La “Robusta” proviene dal Congo e dal Camerun, e dà un caffè cremoso che contrasta con l’acidità tipica dell’Arabica. Il decaffeinato arriva già pronto da Trieste, dove la caffeina viene rimossa con potenti getti d’acqua. Il mio caffè preferito è il “Moka Portorico”, nome scelto da mio padre”.

“La Brasiliana” serve in media da 420 a 430 caffè al giorno, e la clientela è variegata, con molti clienti che acquistano la speciale “Super miscela” preparata in via Manzoni, 100% Arabica, con chicchi provenienti da Santos Colombia, Guatemala, Nicaragua e India Plantation.

“La Brasiliana” è un luogo di incontro, ma Antonella Zambelli ricorda alcuni clienti speciali: “Veniva Mimma, la moglie di Piero Chiara, a comprare il caffè, e diversi pittori portavano i loro quadri da mio padre per lunghe chiacchierate. Oggi passa spesso Aldo Ossola, ma purtroppo si è convertito al caffè d’orzo. Una volta Varese era un luogo vivace, e la nostra caffetteria era una piccola piazza. Ricordo che apriva alle 6:30 e i venditori del mercato di piazza della Repubblica passavano per il primo caffè della giornata, poi c’erano le discussioni tra Salviato e Lozza, titolari delle ditte di scope e di petroli. Ora apriamo alle 7, ma a quell’ora c’è deserto”.

Antonella Zambelli non ha eredi che possano continuare l’attività: “Temo che con me finirà “La Brasiliana”, dopo tre generazioni, ma spero che qualcuno si faccia avanti per prendere in mano il negozio. Lascerei tutto come è adesso, il lavoro si impara in fretta se si ha passione e volontà”.

Mentre parliamo, Stefano Margaritola, l’addetto alla torrefazione, riempie la macchina con 30 chili di caffè verde alla volta e avvia il processo di tostatura, che dura circa venti minuti. E qui viene in mente il successo “Moliendo café” inciso da Mina nel 1961, scritto dal venezuelano Hugo Blanco, una canzone che parlava delle pene d’amore di un macinatore di caffè.

“Il caffè arriva qui in sacchi di juta, pesanti dai 60 ai 70 chili, e viene tostato a 170 gradi per circa venti minuti. Prima tostiamo gli Arabica, quando la macchina non è ancora calda, poi passiamo alle altre varietà. Tutto viene fatto manualmente, e bisogna fare attenzione affinché il colore dei chicchi alla fine della tostatura sia uniforme, evitando il cosiddetto “caffè arlecchinato” a macchie”, spiega Stefano Margaritola.

È l’occhio, quindi, a determinare il colore del caffè.

“Grazie a una sorta di siringa estraibile, posso controllare il grado di tostatura e il colore della miscela, e rimuoverla in tempo per farla raffreddare per una decina di minuti, altrimenti, come il riso, continuerebbe a cuocere. In estate, con le alte temperature ambientali, bisogna togliere il caffè qualche attimo prima del solito”. E così l’aroma si diffonde per il negozio e per la strada, e come sempre, si prevedono temporali.

Un “deca” al banco e una chiacchierata con Ledi Cattaneo, colei che ogni giorno rende felici oltre 400 persone con la “vitamina dello spirito”: “Prima del covid avevamo due macchine per l’espresso e cinque baristi, c’era la coda fino fuori dal negozio per bere il caffè, a tutte le ore del giorno. Poi è tutto cambiato, i negozi in centro si svuotano e c’è poco passaggio, la Varese di un tempo è scomparsa per sempre”.

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