Quasi 118mila imprese italiane si trovano in una situazione di sofferenza a rischio usura nel giugno del 2024, con un aumento di 2.600 unità rispetto all’anno precedente. Tuttavia, c’è un’eccezione: Monza e la Brianza contano solo 1.267 imprese a rischio, in leggero calo rispetto all’anno precedente. È l’allarme lanciato dall’Ufficio Studi della Cgia di Mestre, che sottolinea come si tratti principalmente di artigiani, esercenti, commercianti e piccoli imprenditori che sono stati segnalati alla Centrale dei Rischi della Banca d’Italia da parte di intermediari finanziari. Questo obbligo scatta quando il cliente è indebitato per almeno 30mila euro, mentre per le sofferenze è sufficiente un importo superiore a 250 euro.

La Cgia di Mestre mette in evidenza le difficoltà legate al recupero dei pagamenti da parte dei committenti e il rischio di entrare in una “black list” che impedisce di accedere a nuovi prestiti, aumentando il rischio di finire vittime degli usurai. La situazione si verifica spesso a causa dell’impossibilità di molti piccoli imprenditori di riscuotere regolarmente i pagamenti o a seguito di fallimenti che coinvolgono i committenti stessi.

Le aree con il maggior numero di imprese insolventi sono quelle metropolitane, con Roma in testa seguita da Milano. Ma a fare notizia sono gli incrementi registrati a Benevento, Chieti e Savona. Il Sud è la regione più a rischio, seguita dal Nordovest. In particolare, la Lombardia è indicata come l’area geografica dove finiscono i proventi delle attività di usura.

La Cgia chiede un potenziamento del Fondo di prevenzione dell’Usura, introdotto nel 1998 per garantire finanziamenti alle attività economiche e proteggere dipendenti e pensionati in difficoltà economica. Inoltre, esiste un Fondo di Solidarietà che prevede l’erogazione di mutui senza interessi per coloro che abbiano denunciato gli usurai. Tuttavia, la diminuzione dei prestiti bancari alle imprese italiane del 52,4% dal 2011 e altri fattori come la crisi del debito sovrano e la diminuzione della domanda di credito potrebbero aver spinto molti lavoratori autonomi e piccoli imprenditori verso le organizzazioni criminali in cerca di reinvestimenti nella economia legale.

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