Dopo il rapimento del 10 giugno e l’omicidio di Giacomo Matteotti, Benito Mussolini assunse la responsabilità politica di questi eventi. In seguito, si verificarono nuove violenze squadristiche e la reazione degli antifascisti non si fece attendere. Le classi popolari, operai e operaie, si organizzarono in tutta la provincia per protestare contro il regime fascista.
Il ricercatore Claudio Mezzanzanica ha contribuito con nuove informazioni su questi avvenimenti. Il 3 gennaio 1925, sei mesi dopo l’omicidio di Matteotti, Mussolini ammise la sua responsabilità politica e morale in un discorso drammatico alla Camera. Questo discorso fu seguito da atti terroristici da parte delle squadre fasciste che agirono in tutto il paese, attaccando sedi politiche e giornali di opposizione.
A Malnate, la situazione non era diversa. Dopo l’arresto di otto militanti di sinistra, si scatenò una rivolta popolare che portò all’assedio della caserma dei carabinieri. La situazione si fece sempre più tesa e gli scontri si estesero per le strade del paese. Anche in altre città si verificarono tumulti simili, con arresti di oppositori al regime fascista.
Malnate divenne un simbolo di resistenza e irriducibilità del mondo operaio. Gli arrestati, nonostante le persecuzioni, continuarono a lottare per i propri ideali. Alcuni di loro fondarono un periodico locale e un’associazione sportiva che diventarono strumenti di agitazione sociale. Anche se repressi dalle autorità fasciste, questi individui rimasero fedeli alle proprie convinzioni.
Le schedature della polizia mostrano che gli arrestati erano individui irriducibili, pronti a continuare la lotta anche dopo la caduta del regime fascista. La resistenza degli operai di Malnate e di altre città della provincia dimostra che il consenso al regime non era così diffuso come si credeva. La lotta per la libertà e la democrazia continuò nonostante le difficoltà e le persecuzioni.