Le tensioni prima della partita, l’aria pesante a causa di vecchi screzi legati a scontri (ben poco metaforici) tra le due tifoserie, divise anche da animosità di carattere politico. Una diversa visione del mondo, ma la stessa “voglia di azione”, come raccontavano negli anni Novanta le cronache e i romanzi sul tifo inglese. E così è stato, ma dietro casa nostra, quel 24 aprile di due anni fa.

Era una domenica, e si disputava Fortitudo Bologna – Varese al palazzetto, sfida di campionato di basket. Una partita che ha segnato uno spartiacque per il futuro penale di numerosi tifosi, ora sottoposti alla messa alla prova (previa definizione di una somma da devolvere agli agenti di polizia e carabinieri rimasti coinvolti e feriti negli scontri; due hanno patteggiato). L’unico processato per quei fatti è oggi l’imputato, considerato uno dei capi degli Arditi, la frangia più dura del tifo varesino della pallacanestro, assente in aula ma immortalato nei fotogrammi riprodotti mentre incita i tifosi prima del contatto con la polizia, disposta in cordone per evitare assalti al pullman degli ospiti in partenza dopo il match.

Il racconto prosegue con la testimonianza di un uomo della polizia di Stato, oggi in pensione, ma all’epoca operativo nei reparti mobili. «Ricordo bene quel giorno. Ero responsabile, come capo contingente, di due squadre del reparto mobile della polizia di Stato di Milano e di una squadra del battaglione mobile dei carabinieri. Alla fine della partita, siamo stati chiamati dal dirigente della polizia di Stato responsabile della piazza a schierarci a protezione dei tifosi bolognesi. Abbiamo posizionato un cordone composto da una delle nostre squadre e dall’altra del battaglione mobile. E lì è cominciato lo scontro: i varesini volevano sfondare il cordone per raggiungere gli ospiti. Mi sono trovato nel centro dell’azione, tra la squadra del reparto mobile e i carabinieri. È lì che hanno cominciato a volare fumogeni. Una torcia mi ha colpito alla coscia».

Sono partiti calci e pugni; due scudi rettangolari da “op” si sono infranti, mostrando la violenza degli scontri. Poliziotti e carabinieri sono rimasti feriti, un militare è caduto colpito da qualcosa. «Ma siamo riusciti a tenere la piazza». I tifosi di casa si sono poi ritirati, lasciando per terra i resti della battaglia. Il lavoro della polizia scientifica ha fatto il resto: tutti sono stati ripresi in volto e identificati, e la giustizia ha chiesto loro il conto (il questore di Varese emise subito 15 Daspo rivolti ai “tifosi” varesini). L’unico finito a processo, considerato uno dei responsabili – se non “il” responsabile – del tifo violento, è oggi difeso dall’avvocato Marco Bianchi, per «concorso in resistenza a pubblico ufficiale» e «interruzione di pubblico servizio», poiché i disordini hanno rallentato il regolare deflusso di spettatori, impegnando così diversi agenti delle forze dell’ordine.

«Il mio assistito, voglio specificarlo, non ha mai preso parte agli scontri, come si evince dai fotogrammi prodotti durante il dibattimento», ha chiarito l’avvocato difensore a margine dell’udienza. L’imputato sarà in aula per fornire la sua versione dei fatti nell’esame previsto per il prossimo 8 aprile.

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