Piateda, nel Parco delle Orobie Valtellinesi, è stata ritrovata una vera e propria finestra sul passato, con migliaia di massi che conservano antiche impronte fossili. Questi resti, risalenti a circa 280 milioni di anni fa, sono stati preservati grazie alla sabbia e al fango intrisi d’acqua che si sono trasformati in roccia nel corso dei secoli.
Grazie al cambiamento climatico e allo scioglimento dei ghiacci, queste rocce si sono mostrate per la prima volta agli occhi dell’uomo, rivelando le tracce di anfibi, rettili, piante e semi, così come gocce di pioggia fossilizzate. Un vero paradiso perduto che ci permette di fare un viaggio nel tempo e di scoprire un ecosistema antico e affascinante.
Questa straordinaria scoperta è stata resa possibile grazie alla capacità di osservazione di Claudia Steffensen, un’escursionista di Lovero che ha notato delle strane rocce mentre percorreva un sentiero nella Val d’Ambria. Le immagini delle pietre sono arrivate al paleontologo Cristiano Dal Sasso, che ha immediatamente compreso l’importanza di questo ritrovamento.
Le impronte fossili sono state ritrovate a quasi 3000 metri di quota, su pareti verticali e accumuli di frana, sui monti come il Pizzo del Diavolo di Tenda, il Pizzo dell’Omo e il Pizzo Rondenino. I ricercatori stanno mappando e fotografando centinaia di tracce, che permetteranno di ricostruire con precisione l’antico ecosistema presente in quella zona.
Per preservare al meglio questi reperti, sarà necessario l’utilizzo di droni e strumenti appropriati, così da evitare che vengano sepolti dalle frane. I primi due fossili sono stati trasportati a valle lo scorso 21 ottobre con l’ausilio di un elicottero, ma il lavoro di ricerca e catalogazione continua per scoprire sempre nuovi dettagli su questo straordinario ritrovamento.