Amarcord

La città era il cuore di un sistema molto ampio che raggiunse la sua massima estensione nel 1928 con oltre 242 chilometri di binari tutti elettrificati.

Il tram a Brescia si è fermato settant’anni fa: ma nel giro di qualche stagione ritornerà.

Prima della “bestia blu” c’erano loro, i tram. Quelli a vapore prima e a trazione elettrica poi, che come raggi di una grande stella collegavano i principali paesi della provincia con Brescia. La città era il cuore di un sistema extraurbano che raggiunse la sua massima estensione nel 1928, con oltre 242 chilometri di binari, interamente elettrificati. Un gioiellino, verrebbe da dire: averla oggi, con i problemi di traffico e l’inquinamento, una simile rete tramviaria!

Mandati in pensione perché considerati il passato. Oggi i tram sono il futuro.

Quando vennero definitivamente mandati in pensione, all’inizio degli anni ’50 del Novecento, sull’onda del nascente boom dell’automobile, i tram erano considerati il passato: vecchi, superati, anche fastidiosi, con quei binari diventati un intralcio per auto, camion, pullman (la citata “bestia blu”), costretti a condividere la stessa strada. La gomma ormai aveva vinto la guerra contro la rotaia. E i convogli vennero sacrificati sull’altare del “nuovo che avanza”. Mentre in Francia, Svizzera, Austria, solo per fare gli esempi, le linee tramviarie extraurbane vennero convertite in ferrovie locali, in Italia si decise di chiuderle. Salvo accorgersi oggi, a distanza di qualche decennio, che quella infrastruttura era allora tutt’altro che superata, e che sarebbe bastato metterla in sede propria e interconnetterla con la rete ferroviaria, come si era fatto all’estero. Un’operazione che invece in Italia era stata sempre avversata, pur avendo le tramvie lo stesso scartamento delle ferrovie, solo con un binario più leggero.

I tram nel Bresciano.

L’ultima linea bresciana a chiudere i battenti fu quella della Valtrompia, parliamo giusto di settant’anni fa: nella primavera del 1954 la Brescia-Gardone Vt venne disattivata. In precedenza era toccato alla Brescia-Treponti e alla Tormini-Salò, gli spezzoni sulla direttrice della Valsabbia del tram che, fra Treponti e Tormini, utilizzava già da anni i binari della ferrovia Rezzato-Vobarno. Ferrovia, quest’ultima, che era stata un esempio a livello nazionale di imprenditoria lungimirante, aperta nel dicembre 1897 per iniziativa di una società legata alla ferriera Migliavacca (in seguito Falck), definita “il primo conato in Italia del capitale privato impiegato nell’industria ferroviaria senza curarsi del sussidio pubblico”.

La linea, dopo il fallimento della società privata dichiarato all’inizio del 1902, passò prima alla Provincia di Brescia e poi alle Ferrovie dello Stato e, quasi inutile dirlo, venne tagliata come “ramo secco” negli anni ’60.

La rete e la soppressione.

Ma torniamo ai nostri tram. Nell’estate del 1953, un anno dopo la sospensione delle corse, era stata soppressa la linea Brescia-Carpenedolo, sostituita dalle corriere, come era avvenuto per la linea di Orzinuovi, fra Soncino e Travagliato, nel marzo 1950. La stessa sorte era già toccata alle altre tramvie bresciane, che nel quindicennio a cavallo della seconda guerra mondiale erano state cancellate dalla geografia della provincia. Serviva il ferro per i cannoni, si disse allora. Sono ancora tanti i bresciani che su quegli ultimi, gloriosi tram elettrici salirono e viaggiarono. Esperienze di vita quotidiana, di lavoro e di fatica, ma anche di svago (si andava al lago). Perchè il tram era popolare, economico e comodo per chi allora, per andare e tornare da Brescia, aveva quasi solo un’alternativa: la bicicletta. Certo, nel dopoguerra la motorizzazione era in grande espansione, ma chi poteva permettersi un’auto restava ancora una minoranza.

Un triste destino, quello dei tram, che per primi – nell’ultimo ventennio dell’Ottocento – avevano portato la modernità in territori fino ad allora rimasti ai margini dello sviluppo economico e sociale. Prendere il tram era come avvicinare alla propria casa un mondo fino ad allora lontano, sconosciuto: quei collegamenti da e per la città avevano permesso a tanti bresciani, delle valli come della pianura, di andare al lavoro, a scuola, ma anche di conoscere, viaggiare, scoprire. Settant’anni fa l’intermodalità tra filovie elettriche cittadine e tramvie elettriche extraurbane era una realtà. Ma, invece di chiamarla futuro, come faremmo noi adesso, la consideravano passato.

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