Tre giudici della Corte d’Appello milanese, Monica Fagnoni, Micaela Curami e Stefano Caramellino, sono stati messi sotto processo disciplinare dal ministro della Giustizia Carlo Nordio per aver concesso gli arresti domiciliari al 40enne imprenditore russo Artem Uss, figlio del governatore di una regione siberiana vicino a Putin, in attesa di decisione sulla sua estradizione chiesta dagli Stati Uniti per esportazione illegale di tecnologie militari e contrabbando di petrolio in Venezuela. Uss è evaso dai domiciliari il 22 marzo 2023, portando via la cavigliera. Il ministro della Giustizia ha accusato i tre giudici di non aver valutato l’elevato e concreto pericolo di fuga e di aver concesso i domiciliari senza prendere in considerazione sette circostanze indicate nel parere della procuratrice generale milanese Francesca Nanni e del suo pg Giulio Benedetti contrari ai domiciliari.

Tuttavia, se si legge l’ordinanza che ha concesso i domiciliari, è facile constatare come i tre giudici non abbiano ignorato gli elementi che dagli atti potevano far propendere per la custodia in carcere, ma li abbiano soppesati e bilanciati con altre circostanze prodotte dalla difesa, concludendo che il pericolo di fuga continuasse a essere concreto, ma anche che potesse essere contenuto aggiungendo agli arresti domiciliari la sicurezza del braccialetto elettronico.

Il sistema giudiziario funziona con decisione e motivazione impugnabile nel grado successivo, e la motivazione c’era: tanto che neppure la procuratrice generale milanese Nanni (pur contraria ai domiciliari) impugnò poi in Cassazione la concessione dei domiciliari, evidentemente ritenendo anch’ella che nell’ordinanza dei tre giudici non vi fossero quei vizi di legge che soli potevano legittimare il ricorso in Cassazione, ma che vi fosse invece una diversa valutazione del merito degli atti. A posteriori si può naturalmente criticare e ritenere non adeguati, o proprio sbagliati, questo bilanciamento e la relativa decisione.

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