Il porto di Fiume fu danneggiato gravemente dai soldati tedeschi che, prima di ritirarsi, fecero esplodere le mine che avevano sparso. La popolazione rimase chiusa in casa in attesa degli eventi. Il 3 maggio 1945 a Fiume non terminò la guerra, ma giunsero le truppe del leader della resistenza comunista jugoslava, Josip Broz Tito, con propositi espansionistici per la rinascente Jugoslavia.
Zara fu occupata già nel novembre precedente, Trieste cadde in mano ai nuovi occupanti il primo maggio e nei giorni seguenti medesima sorte toccò al resto della Venezia Giulia. Anche il capoluogo del Carnaro sperimentò Quaranta giorni di efferata occupazione militare, durante la quale vennero epurati non solo ex fascisti o rappresentanti del patriottismo locale, ma anche partigiani tornati dai campi di concentramento nazisti o rappresentanti dell’autonomismo fiumano.
Furono colpiti tutti gli oppositori del progetto annessionista titino: la nuova Jugoslavia sarebbe stata federale, ma con una classe dirigente statale e locale forgiata dal Partito Comunista Jugoslavo e dalle sue diramazioni territoriali. Si auspicava una “settima repubblica” associata a Belgrado comprendente tutte le terre strappate all’Italia fino all’Isonzo o addirittura al Tagliamento, ma non c’era spazio per l’autonomismo fiumano, già perseguitato dal fascismo e sopravvissuto in clandestinità sognando il ritorno alla Fiume autonoma, multietnica e multiculturale che prosperò attorno al suo porto franco nell’ambito della monarchia asburgica prima che gli opposti nazionalismi italiano e croato e la magiarizzazione di inizio Novecento scatenassero gli animi.

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