Un minore incensurato, ma con una difficile situazione familiare, è stato accusato di reati pesanti come la rapina aggravata e la tentata estorsione. Per evitare di rovinare la vita del minore, il tribunale per i Minorenni di Milano ha scelto di applicare la “messa alla prova”, un istituto che di solito viene associato all’immagine dell’adulto in giacca e cravatta che finisce dinanzi al giudice, ma che invece ha la sua origine proprio nell’ambito della giurisdizione minorile.

Alla fine del programma, che di solito è un percorso prestabilito e concordato con la magistratura, il giudice stabilisce l’esito della prova ed estingue il reato. Uno dei due minori accusati di aver rapinato un coetaneo nel dicembre 2020 a Besozzo e di aver poi tentato, in concorso con lo zio maggiorenne, di aver messo in piedi anche un’estorsione sta attualmente seguendo questo percorso.

L’uomo, accusato di essere il complice dello zio, è attualmente a giudizio, ma il suo avvocato sostiene che si tratta di un equivoco: sarebbe stato il nipote minorenne ad aver usato il cellulare dello zio per inviare i messaggi minatori al profilo Instagram della persona rapinata. Nel frattempo, il processo al Collegio di Varese è in corso, ma in parallelo si sta svolgendo anche un iter processuale al tribunale dei Minori di Milano, dove figura anche il secondo minore imputato.

Nell’ultima udienza è stato disposto il rinvio a novembre per la valutazione del programma di messa alla prova, in quanto i servizi non avevano ancora predisposto il percorso. La messa alla prova è un’opzione che può essere utile per evitare di rovinare la vita dei minori accusati di reati gravi, ma è importante che sia gestita con attenzione e che il percorso sia ben strutturato e concordato con la magistratura.

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