Nel capannone di Bariano si nasconde un mondo parallelo, dove gli immigrati indiani riproducono meccanismi sociali della loro patria adattandoli al mercato del lavoro occidentale. Non sono solo i lavoratori a essere indiani, ma anche il titolare e una specie di dipendente-kapò che li controllava. Il prodotto che dal capannone usciva erano dolci etnici destinati al consumo della comunità sikh locale, realizzati con materie e lavorazioni senza nessun controllo igienico.

Non dovremmo sorprenderci di questo fenomeno, già raccontato nell’ambito dell’emigrazione meridionale degli anni ’60, come nel film Così ridevano di Gianni Amelio. Troppe volte la retorica del lavoro copre storie di crudo sfruttamento dei propri simili.

E sarebbe interessante riconsiderare certe storie dei nostri vecchi, di quando andavano a lavorare in Svizzera e in Belgio dietro chiamata di connazionali di là, amici fin troppo interessati a trovare manodopera fresca e obbediente.

Il caso di Bariano, dunque, è solo la punta dell’iceberg di un mondo parallelo che si è organizzato autonomamente ai margini del nostro. È importante fare attenzione a questo fenomeno e non chiudere gli occhi davanti a situazioni di sfruttamento e abuso di potere, anche se possono sembrare lontane dalla nostra quotidianità. Bisogna essere attenti e solidali nei confronti di chi vive e lavora ai margini della società, perché solo così si può costruire un mondo più giusto e solidale per tutti.

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