Arresti di un politico e un carabiniere: offerti 786 file sul boss. “Fabrizio era d’accordo a denunciare”
L’incontenibile pulsione di Fabrizio Corona a infilarsi nei guai stavolta si è fermata a un passo dall’abisso. Perché anche un uomo pronto a quasi tutto in nome del gossip e della grana, davanti ai 786 file che un carabiniere (anche lui amante dei quattrini ma meno furbo di Corona) aveva rubato dai computer della caserma, ha capito che lì c’era da lasciarsi le penne. Si parlava di Matteo Messina Denaro, l’ex pericolo pubblico numero uno: e questo passi, già in passato Corona si era messo di mezzo, vendendo a Non è l’Arena di Massimo Giletti le chat di una amica del boss. Ma qui si trattava di ben altro: nei documenti offerti a Corona dal carabiniere infedele e da un politico trapanese di secondo piano c’erano i segreti della caccia all’ultimo latitante. Compreso un giallo: il covo di U’Siccu, come quello di Totò Riina, sarebbe stato perquisito in ritardo. Corona, insieme al suo amico Moreno Pisto, direttore del giornale online Mow, ha fatto la cosa più saggia della sua vita: è andato dalla polizia.
Ora, mentre carabiniere e politico (che si chiama Giorgio Randazzo, consigliere comunale prima leghista e poi di Fratelli d’Italia) finiscono agli arresti domiciliari, Corona viene perquisito e indagato per tentata ricettazione. Ma a scagionarlo in diretta è il direttore di Mow, Moreno Pisto, che non è indagato e ricostruisce tutta la vicenda, e scrive: «Il coinvolgimento di Fabrizio Corona non è nel ruolo del cattivo. Al contrario, Fabrizio Corona era d’accordo con il nostro direttore che il tentativo di vendita dei file andasse denunciato alle autorità». E a rafforzare la tesi difensiva contribuisce anche Massimo Giletti: che spiega al Giornale che «queste cose a me Corona non le ha mai proposte, non me ne ha mai parlato, d’altronde se lo avesse fatto gli avrei detto che era matto. So dal maggio scorso che giravano solo perchè me ne aveva parlato un giornalista della Verità».
Così anche le nuvole nere che nel corso della mattinata di ieri si erano addensati sulla testa del «re del gossip» hanno iniziato a diradarsi. Il problema è che Corona è ancora in affidamento ai servizi sociali, dove sta finendo di scontare le condanne accumulate nel tempo. Fin dall’inizio, quando gli è stato permesso di lasciare il carcere, si è dimostrato incapace di rispettare le regole dell’affidamento, sforando orari, frequentando brutta gente, nascondendo montagne di soldi nei controsoffitti; lo hanno rispedito in carcere, poi lo hanno fatto uscire di nuovo, e verso la fine dell’anno – se i calcoli sono giusti – dovebbe avere finito di espiare la condanna, tornando un uomo libero. Ma è chiaro che l’accusa di avere cercato di impadronirsi di documenti rubati ai server dei carabinieri su una delle vicende più delicate della storia recente, la lunga caccia a Matteo Messina Denaro, rischiava di rispedirlo in carcere dritto filato.
Ma il tribunale di sorveglianza di Milano, arbitro della sorte carceraria di Corona, ieri ha atteso invano che dalla Procura di Palermo arrivassero documenti tali da rispedire Corona in cella d’urgenza. E a questo punto, salvo colpi di scena, il rischio è passato. Certo, resta la curiosità di sapere cosa c’era nei 786 file….