La sentenza della Corte Costituzionale che stabilisce che i materiali estratti da telefoni e computer, come le chat e le email, sono equiparabili alla corrispondenza e quindi coperti dalle garanzie costituzionali riservate ai parlamentari, ha sollevato molte polemiche. Il giornale Il Fatto Quotidiano ha titolato in apertura un articolo in cui si parla delle possibili conseguenze di questa sentenza sulle indagini in corso, soprattutto quelle che riguardano personaggi politici come Daniela Santanchè, il figlio di Ignazio La Russa e i rapporti tra Beppe Grillo e l’armatore Vincenzo Onorato. Secondo il giornale, con questa sentenza la Corte Costituzionale ha messo in pericolo le indagini dei pubblici ministeri, che non potranno più acquisire materiale senza l’autorizzazione delle Camere.
Questa sentenza ha sollevato molte preoccupazioni tra i magistrati, che vedranno le proprie indagini limitate dall’inviolabilità della corrispondenza. Tuttavia, bisogna ricordare che la legge è legge e che l’articolo 15 della Costituzione stabilisce che la libertà e la segretezza della corrispondenza sono inviolabili, mentre l’articolo 68 estende questo principio ai membri del Parlamento. Quindi, quando un’indagine coinvolge un parlamentare, è necessaria l’autorizzazione delle Camere.
Questa sentenza ha chiarito definitivamente il senso della norma e ha confermato la piena tutela non solo dei parlamentari, ma anche dei privati cittadini che vengono intercettati. Non si tratta di bloccare l’azione penale dei magistrati, ma di rispettare i principi costituzionali e l’autonomia dei poteri. Discutere di questi principi significherebbe smantellare tutto il nostro sistema giuridico.
In conclusione, è importante ricordare che nel 2012 si è già affrontata una questione simile con le conversazioni intercettate incidentalmente dal presidente Giorgio Napolitano. Anche allora si sono sollevate molte polemiche, ma alla fine si è affermato lo Stato di diritto e i pubblici ministeri hanno dovuto adeguarsi alla Costituzione.