Il Museo civico Albino Manca: una scoperta sorprendente a Tertenìa

Quando ero ancora bambino e passeggiavo lungo la via Sonnino a Cagliari, mio padre mi invitava a guardare verso il cielo. Un terrore curioso si impadroniva del mio sguardo: le sculture di quattro bronzi virili, L’Età Fascista, La Giustizia, La Nuova Giovinezza e Il Dovere, che si ergevano solenni sul bianco Palazzo della Legione dei carabinieri, incutevano in me un panico soffocato e triste. Il ricordo delle statue barcollanti in processione alla Domenica di Pasqua prendeva il sopravvento: “Cadono giù dal cornicione?”, chiedevo spaventato! Mio padre, sempre fiero e imperturbabile, con tono severo, mi rassicurava: “Sono i bronzi del terteniese Albino Manca (1897-1976), che nonostante i numerosi ritratti compiacenti del dittatore Benito Mussolini, ebbe grande successo negli Stati Uniti d’America”. Così, in un istante, torno ancora una volta a Tertenìa, che conserva una copia dell’Aquila, The Diving Eagle di Manhattan, su un cippo troppo basso in una piazza angusta e spoglia. Questa copia, insieme ad altri lasciti, è arrivata in Ogliastra su richiesta dell’artista, che è sepolto nel piccolo cimitero ai margini del paese.

Dopo anni di oblio, il comune ha dedicato al suo concittadino – che insieme al più famoso Costantino Nivola, originario di Orani, ha illustrato la sua terra natale oltre oceano – un piccolo museo gioiello: il Museo civico Albino Manca. È ospitato in una ex-caserma, quasi torreggiante tra le strette case del borgo più antico. Arrivarci, tra vicoli e salite, non è certo facile, e la diffidenza sgarbata dei locali – oltre agli orari di apertura, talvolta ballerini – non offre il meritato aiuto ad avventori e turisti. Ma la visita è una sicura sorpresa. Uno di quei colpi di fulmine che, come a Ulassai con l’incantevole Museo Stazione dell’Arte dedicato a Maria Lai, l’Ogliastra riserva inaspettatamente e generosamente. Nella piccola galleria, le sculture minute, dai tratti così borghesemente animalier, si trasformano in ornamenti d’argento che brillano tra le foglioline acuminate di agrifoglio, leccio e quercia. I bronzi, di gazzelle e pantere, ora creano un bestiario di stilemi e zampate di chimere d’Arezzo, ora richiamano le reminiscenze dei bronzetti nuragici e delle boscaglie assolate. Tra fanciulle di bronzo che dormono languidamente e chiare crete in mezzobusto, oltre ai marmi magniloquenti con il profilo inconfondibile del Duce, La Gazzella e fico d’india (bronzo, 1936) è il culmine di questa esposizione.

Nonostante alti e bassi – che lo porteranno anche a realizzare i ritratti del presidente Franklin Delano Roosevelt – la nostalgia per la sua terra natia del Manca, “scultore americano”, emerge plasticamente nelle rughe degli anziani o nei volti scolpiti delle giovani donne, con i capelli raccolti e il tipico chignon di spilli che ancora le anziane del luogo sfoggiano con eleganza riservata e sobria. Le medaglie commemorative e le monete, con i loro profili solenni, si affiancano alle terrecotte, ai disegni e ai numerosi bozzetti preparatori su carta ingiallita. Uno squarcio di un nuovo mondo che a Tertenìa si riveste di antico e fantastico: è il museo che nessuno si aspetta, che i rituali estivi frettolosi trascurano per le splendide spiagge e gli scogli altrove. Perché è così: la Sardegna più autentica, orgogliosa e parsimoniosa, che scompare di anno in anno, si nasconde indignata dai frastuoni sfrenati di un turismo chiassoso e deprimente, persino dai colori del mare più celebrato; ma è lei, l’arida e dura terra che amo.

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