Il caso Vergomasco, l’istituto sottolinea l’importante impatto ecologico degli impianti sui torrenti del territorio

A volte le leggi non aiutano ad attuare gli scopi per cui sono state concepite. O presentano troppe vie di fuga. Così, succede che due mega discariche di scorie di fonderia che imbiancano l’alveo di un torrente dalle acque troppo alcaline, distribuendo piombo, cadmio e zinco nelle acque superficiali e cromo esavalente in quelle sotterranee, non configurino la sussistenza del “danno ambientale” così come definito (e punito) dal decreto legislativo 152 del 2006; che ha recepito direttive europee. Succede a Odolo, e la non sussistenza viene sottolineata in una relazione dell’Istituto superiore per la ricerca e la protezione ambientale legata al procedimento giudiziario a carico della Vergomasco, la società formata da tre aziende siderurgiche di Odolo finita lo scorso anno sotto la lente dei carabinieri forestali di Vobarno.

Si parte da un sequestro

In seguito alle verifiche dei militari, un deposito di scorie di acciaieria istituito dal Comune nei primi anni ’80 sopra un torrente (il Vergomasco, appunto) che era stato intubato, è stato sequestrato sia nella parti più “antiche” e ormai non più usate, sia in quella più recente, gestita dalla società incriminata subentrata al Comune dopo la richiesta di ampliamento del sito risalente al 2004. Oltre a ottenere il sequestro, i carabinieri forestali hanno ipotizzato a carico dei privati associati i reati di violazione delle autorizzazioni per la gestione dei rifiuti, di scarico di sostanze pericolose e di inquinamento ambientale.

L’evoluzione

L’avvelenamento del torrente non è solo un fatto storico, ma attuale. Perché ignorando il dettato dell’autorizzazione concessa all’ampliamento, la società si è limitata per anni a trattare sul posto solo il percolato derivante dalla parte nuova della discarica, mentre in occasioni di piogge o di altri apporti idrici, un sistema ad hoc ha permesso di deviare quello derivante dai siti più vecchi direttamente nel corso d’acqua. La Provincia ha già diffidato i gestori dal continuare con questa prassi, e intanto è arrivato il contributo dell’Ispra. Detto del danno ambientale non sussistente (per, sintetizzando, la mancanza di una serie di condizioni che spaziano dall’impatto su specie e habitat rientranti in aree protette a una contaminazione del terreno rischiosa per la salute), l’Ispra ricorda però che a Odolo “emerge la generica criticità ambientale diffusa sul territorio riconducibile all’intensa attività antropica che tutt’oggi, a causa della permanenza di numerose discariche di scorie siderurgiche, determina sul sistema delle acque torrentizie un importante impatto ambientale”. Poi, l’istituto ricorda alla Regione “l’utilità di integrare, attraverso gli strumenti normativi in vigore, l’attuale programma di monitoraggio attraverso punti fissi di valutazione delle variazioni a lungo termine dovute all’attività antropica”. Insomma: serve una rete di controllo per capire davvero quanti veleni ci sono sotto la Conca d’Oro.

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