Seriate, l’addio al giovane che si è suicidato dopo avere assassinato il padre a Cavernago
Mercoledì, Cristina Ravanelli si è seduta alla scrivania di don Mario Carminati. È la madre di Federico Gaibotti, sul citofono del condominio a Seriate i loro nomi sono scritti uno di seguito all’altro. Ed è la ex moglie di Umberto Gaibotti. Il 4 agosto, a Cavernago, nella casa dove è cresciuto, Federico ha ucciso a coltellate Umberto, suo padre, perché voleva salvarlo dal suicidio e dai gravi problemi di tossicodipendenza. Il 1o, è riuscito a togliersi la vita in carcere. Riportato in cella dopo quattro giorni di ricovero al Papa Giovanni, si è stretto la felpa attorno al collo, chiuso in bagno. Sono bastati pochi minuti. Se ne è andato a 30 anni, lasciando dietro di sé una famiglia a pezzi.
Il colloquio tra Cristina Ravanelli e don Carminati in previsione del funerale del ragazzo resta, come è ovvio, in tutto e per tutto chiuso nelle quatto mura della casa parrocchiale, ma ha forse contribuito a fare maturare la riflessione che il sacerdote ha condiviso ieri mattina, durante la cerimonia, con tanta gente soprattutto di Cavernago e rose gialle e bianche sulla bara. Una cerimonia sobria, delicata, durante la quale non ci sono state altre parole se non quelle di don Carminati. «Ogni persona ha fragilità, nessuno è superman, a differenza di quanto spesso i mass media ci fanno credere — ricorda il sacerdote —. Momenti di fragilità capitano anche nelle vite delle persone più riuscite, umanamente e cristianamente non spetta a noi giudicare: solo il Signore può arrivare in fondo alle intenzioni e al cuore di una persona».
Per chi ha fede, don Carminati ricorda che «Cristo è venuto perché niente e nessuno vada perduto», come a portare un poco di luce in questa storia di «buio nero», è scritto in uno dei necrologi che hanno accompagnato l’annuncio funebre, con una fotografia di Federico sorridente, i tatuaggi al collo, i piercing, lui che aveva provato a gestire un negozio di tattoo a Martinengo. Ma poi si era ritrovato invischiato nella droga pesante, con le prime sbandate intorno ai 25 anni mentre ai tempi dell’infanzia e dell’adolescenza, a Cavernago, lo ricordano come un ragazzino tranquillo, quasi timido.
A luglio, dopo una condanna a sei mesi per violazione del domicilio della madre e resistenza e lesioni a pubblico ufficiale, aveva ottenuto la pena sospesa anche sulla base della promessa di entrare in una comunità di recupero. Promessa mantenuta, ma dopo una settimana Federico era in strada.
Al funerale, Cristina Ravanelli era al fianco del figlio maggiore Michele e della sorella Patrizia. Non aveva partecipato invece a quello dell’ex marito, il giorno seguente alla morte di Federico. Chi ha avuto modo di parlare con lei la descrive come una donna distrutta dal dolore. La messa è stata concelebrata dal parroco di Cavernago don Enrico Mangili, mentre in chiesa era presente anche uno dei cappellani del carcere don Luciano Tengattini. Sul suicidio in cella, la Procura ha aperto un fascicolo in cui andranno anche gli esiti dell’autopsia eseguita mercoledì al Papa Giovanni, dove si è poi tenuta la camera ardente. Il corpo di Federico sarà cremato e l’urna portata al cimitero di Seriate.