La finale della gara nazionale di bocce organizzata in provincia di Varese era ormai agli ultimi colpi. Gianni si trovava in parità, 11 a 11, e mancava a lui o all’avversario un solo punto per vincere. Prese l’ultima boccia per allontanare quella dell’avversario posta a pochi centimetri dal pallino, si mise in posa e si preparò a lanciare.

Gianni era un uomo dal fisico asciutto, non molto alto, robusto, con i capelli castani tagliati a spazzola con qualche filo bianco sparso qua e là. Aveva quasi cinquant’anni e uno sguardo fermo e deciso. Sembrava l’immagine del perfetto atleta quando era immobile, ma appena si muoveva, si notava chiaramente una zoppia alla gamba destra che gli impediva di correre.

La bocciata stava per partire. Gianni, praticamente fermo, mosse il braccio dalla posizione flessa all’indietro con un movimento armonico, poi lo portò rapidamente in avanti, facendo leva sulla gamba destra. Fu in quel momento che sentì un leggero scricchiolio al ginocchio, a cui era abituato e non prestava particolare attenzione.

“Dai, vieni qua, Cecilia, andiamo a fare una bella passeggiata in brughiera! Quando torniamo, vedrai che ti darò qualche bel bocconcino come al solito, sai bene quanto ti piacciono, furbona!” Cecilia girò gli occhi adornati da lunghe ciglia per conferire al suo sguardo un’aria seducente, poi strisciò il muso lungo la spalla di Gianni, emettendo un suono di condivisione. Si lasciò sellare e imbrigliare e uscì dall’allevamento, iniziando a trotterellare lungo i sentieri dei boschi intorno a Somma Lombardo.

Cecilia era l’amore non tanto segreto di Gianni. Lui la chiamava affettuosamente “la mia bambina” e quasi ogni giorno correva da lei dopo il lavoro, per coccolarla e portarle mazzi di carote che lei adorava, noncurante degli scherzi degli amici e colleghi quando apriva il baule dell’auto pieno di ortaggi colorati.

La passione per Cecilia non escludeva la passione per le bocce, a cui Gianni dedicava molto tempo, soprattutto la sera, quando partecipava alle competizioni organizzate nei dintorni, sia individuali che a squadre. Non era un campione, abbastanza bravo sì, ma non aveva mai raggiunto la categoria maggiore. Era arrivato in serie B e si era fermato lì da tempo, senza trovare l’acuto per fare il grande salto. Ma a lui andava bene così, i suoi due amori si compensavano senza che uno escludesse l’altro.

Un giorno, mentre era nel box con “la sua bambina”, Gianni stava sistemando i finimenti dietro Cecilia, quando la cavalla improvvisamente si spaventò, scalciando con le zampe posteriori e colpendo in pieno il ginocchio destro di Gianni. Un dolore lancinante lo fece cadere a terra e fu portato in ospedale, dove venne operato. Dopo la degenza, il verdetto era spietato: sarebbe rimasto zoppo per sempre.

La boccia era stata finalmente lanciata, ma il crac al ginocchio aveva causato una deviazione minima, sufficiente comunque per non centrare il bersaglio e concedere la vittoria all’avversario.

“Sai Cecilia, ieri sera avrei potuto vincere quella gara, era una finale nazionale e con il punteggio raggiunto avrei finalmente potuto accedere alla categoria A. Sei stata tu, birbona, a farmela sbagliare, lo sai? Ma no, non è vero, avrei sbagliato comunque, del resto non cambia molto: amo giocare, amo competere, che importa se non ci sono riuscito questa volta. Andrà meglio la prossima.”

Cecilia strisciò il muso sulla mano di Gianni che stringeva alcune zollette di zucchero e, non appena il pugno si aprì, le prese delicatamente con le labbra, assaporando con gioia la dolcezza della leccornia. Poi chiuse gli occhi e Gianni l’abbracciò con trasporto, come mai prima d’ora. Era la sua bambina, lo sapevano o no gli altri?

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