In una villa del tardo Cinquecento sui colli Euganei, viveva un vecchio conte. La villa, molto rigorosa nel disegno architettonico, era in evidente stato di trascuratezza e si presentava cupa e decadente. Il grande giardino antistante, un tempo lussureggiante, era stato invaso dalla sua stessa vegetazione, lasciata crescere spontaneamente oltre misura. Il vecchio conte preferiva una parte ribassata del giardino, subito sulla sinistra della facciata della villa. Ogni sera scendeva con cautela i numerosi gradini per accedere a questo spazio in piano, ricavato scavando la parete del monte. Qui, lo sguardo non si perdeva all’orizzonte: lo spazio era ben delimitato, facile da percorrere sia con l’occhio che con il passo. Lungo i vialetti di ciottoli chiari, fiancheggiati da siepi di martelletto, erano disposte statue consunte dal tempo, interrotte a intervalli regolari. Lungo le mura perimetrali erano disposti finti ruderi avvolti da una folta vegetazione, ripiegata su stagni e ninfee.
Il vecchio conte trascorreva le sue giornate uguali e monotone, indifferenti al tempo e alla vita. Nulla poteva più suscitare in lui un qualche interesse, solo quando si rifugiava in questa parte separata e protetta del giardino sembrava ritrovare un piccolo sussulto vitale. Il vecchio sapeva di essere giunto a un passo dalla fine e non vedeva alcun futuro per sé. Si sentiva già moribondo e spesso invocava la morte perché ponesse fine alla sua non vita, completamente svuotata di senso. Nel rifugio nel passato, il vecchio conte aveva perso ogni contatto con il presente, l’unica dimensione che ancora avrebbe potuto riservargli piccole gioie e soddisfazioni.