La strage di Pontevico: la ricerca della verità continua

Sono trascorsi poco più di 33 anni dalla mattanza di Pontevico, dove il serbo Manolo massacrò la famiglia Viscardi. L’unico superstite, però, non si arrende e continua a chiedere l’esame del Dna sul corpo.

«Fin quando sarò vivo non smetterò di cercare la verità». A poco più di 33 anni di distanza dalla strage di Torchiera, Guido Viscardi — figlio e fratello delle vittime — non si arrende e continua a cercare la verità dopo il massacro dei suoi quattro familiari. Il tempo sembra essersi fermato lungo la stradina della frazione di Pontevico. L’agricoltore 61enne vive nella casa dove si è consumata la tragedia e lavora tra i capannoni confinanti, mentre nel piccolo giardino di fronte l’abitazione c’è la croce (sempre ben curata) realizzata con il parquet della casa che era stato impregnato dal sangue delle vittime dopo la mattanza che si era consumata nella notte tra il 15 e il 16 agosto 1990. «Per me il processo non è chiuso», aggiunge Guido Viscardi.

La speranza del superstite della strage è che venga riaperto il processo e venga accettata la richiesta di effettuare l’esame del Dna sul presunto cadavere del serbo Ljubisa Vrbanovic, soprannominato Manolo. Per Guido Viscardi «non è certo che la persona sepolta sia l’assassino». «I miei familiari, uccisi mentre erano nella loro casa, sono stati presi in giro — prosegue Guido Viscardi — così come sono stato preso in giro io e lo Stato italiano. È come se qualcuno abbia voluto proteggere Manolo».

Mercoledì 16 agosto, come tutti gli anni, si è svolta la celebrazione eucaristica nell’abitazione di Torchiera. Un modo per ricordare la strage impunita che ha segnato il paese al confine tra la provincia di Brescia e la provincia di Cremona. Un modo per non dimenticare Giuliano e Agnese Viscardi, di 58 e 53 anni ed i figli della coppia, Luciano e Maria Francesca, di 28 e 23 anni. Tutti trucidati, con ferocia, dal serbo Ljubisa Vrbanovic e dal nipote Ivica Bairic. Manolo alla fine degli anni ‘80 si era reso protagonista anche di un altro fatto di cronaca nella Bassa bresciana orientale. Aveva fatto irruzione in un casolare della Bassa bresciana orientale in cui viveva un militare americano che lavorava all’aeroporto di Ghedi. Oltre a rapinare la coppia, Manolo aveva violentato la moglie dello statunitense.

Guido Viscardi, a distanza di anni, continua a chiedere chiarezza su quanto accaduto in quella maledetta notte di metà agosto. «Voglio la verità. Voglio la certezza del Dna. Vadano a comparare ciò che resta di Manolo (per le autorità serbe è morto l’ 11 marzo 2014 ed i giudici italiani non hanno messo in discussione i relativi documenti, ndr) con il fratello che è detenuto nel carcere di Fossombrone, in provincia di Pesaro Urbino. Ho il diritto di sapere chi c’è in quella tomba, se è davvero lui che ha massacrato la mia famiglia».

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