Il caso di Alessandro Impagnatiello e Giulia Tramontano ha sconvolto l’opinione pubblica italiana. L’autopsia ha rivelato che Impagnatiello stava tentando di uccidere la sua compagna incinta da mesi, avvelenandola con del topicida. Il veleno per topi è stato trovato sia nel feto che nel sangue della donna, con un aumento della somministrazione nell’ultimo mese e mezzo. Ma le rivelazioni dell’autopsia non finiscono qui: è emerso che Tramontano sia morta dissanguata e che fosse ancora viva dopo le prime coltellate.

Giulia era incinta di sette mesi quando è stata uccisa il 27 maggio con 37 coltellate da Alessandro. Il suo corpo è stato ritrovato dopo quattro giorni vicino a dei box a Senago, dove la coppia viveva. L’analisi del computer di Impagnatiello ha rivelato ricerche sul veleno per topi e su quanto ne fosse necessario per uccidere una persona.

Le parole della Tramontano, scritte in chat con un’amica nel mese di dicembre, assumono ora un significato ancora più inquietante: “Mi sento una pezza, ho troppo bruciore di stomaco, lo stomaco mi uccide, mi sento drogata”. Gli investigatori hanno scoperto che Impagnatiello aveva cercato online il motivo per cui il veleno non stesse facendo effetto e ha poi scoperto che perdeva potenza se somministrato con bevande calde.

Questo caso fa riflettere sulla gravità dei femminicidi e sulla necessità di una maggiore tutela delle donne vittime di violenza domestica. È importante che la società e le istituzioni si impegnino a prevenire e contrastare questi atti di violenza, offrendo supporto e protezione alle vittime. La storia di Giulia Tramontano è un triste esempio di come la violenza di genere possa portare a conseguenze tragiche e irreversibili. È responsabilità di tutti noi combattere questa piaga sociale e garantire un futuro di sicurezza per le donne.

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