Solo grazie all’autorizzazione concessa dalla Loggia si è risolto il complicato caso della cremazione di un cittadino indiano Sikh. L’ambasciata, essendo il padre di un attivista per la secessione del Punjab, stava tergiversando. Alla fine, il rispetto dei diritti umani ha prevalso sulla burocrazia. Jasvir Singh, cittadino indiano residente in Brescia, è deceduto il 28 agosto a Chiari. Le sue volontà erano chiare: voleva essere cremato secondo la tradizione Sikh. Uno dei suoi figli, Gurpal, è il referente in Italia di “Sikh for Justice”, un’organizzazione secessionista che sostiene la secessione del Punjab dall’India. Il governo indiano considera questi attivisti come disertori e non graditi. Il 31 agosto, gli avvocati dei figli del defunto hanno scritto ad Altair Funeral, l’azienda che gestisce il tempio crematorio di S. Eufermia, chiedendo di capire le ragioni dell’impasse e di permettere la cremazione quanto prima, considerando la sacralità del rito per la comunità Sikh. Il giorno successivo, gli avvocati hanno inviato una lettera anche ai Comuni di Brescia e Chiari, allegando tutti i documenti necessari. Tuttavia, il Consolato generale dell’India ha dichiarato che i figli del defunto dovevano recarsi personalmente in consolato per ottenere il nulla osta alla cremazione. Questo a causa delle attività secessioniste promosse dalla famiglia. La soluzione è quindi passata nelle mani delle istituzioni bresciane, che hanno concesso il nulla osta. “Nessuno ci aveva avvisato del fatto che servisse un certificato del consolato indiano per la cremazione di mio padre”, ha dichiarato il figlio di Jasvir, accusando una violazione dei diritti umani in Italia e annunciando l’intenzione di fare causa contro il sistema.

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