Viaggio tra i ruderi di un vecchio hotel che ospitò anche l’associazione Cai. Uno spazio che potrebbe rinascere?

Ci troviamo in cima al Mons Domini, poi Monte Denno e ora Maddalena, a un’altitudine di 874 metri. Tra i rovi, si possono vedere tre archi ribassati che poggiano su pareti di pietra e hanno il cielo come tetto. Questi archi un tempo sostenevano una stalla e un fienile attigui a un romitorio, luogo di meditazione degli eremiti. Più in alto, su un pianoro, rampicanti coprono un edificio che è sorto quando molti cittadini sognarono una Brescia residenziale ed elegante, raggiungibile tramite una funivia che collegava la Bornata alle Cavrelle. Ieri era un hotel, oggi è un rudere di cemento dal fascino misterioso che attira curiosi.

Mentre scatto delle foto, una coppia di passaggio mi fornisce informazioni sull’edificio. Mi dicono che era un hotel che non ebbe fortuna. Un terzo passante aggiunge che crede che l’edificio appartenga a una società che si occupa di immobili rustici. In montagna è normale fare due chiacchiere con chi si incontra, anche senza presentazioni.

Guardando il rudere, vediamo che sotto il portico c’è una porta spalancata. Entriamo senza esitazione. Le imposte sono chiuse e c’è buio. Le quattro luci dei nostri telefoni illuminano una stanza abbandonata da oltre mezzo secolo. Curiosiamo e notiamo che non ci sono rifiuti per terra. Sembra che i vandali non siano passati di qui. Non ci sono segni di umidità, i muri sono asciutti. Su due pareti, una delle quali sembra essere in cocciopesto, emergono i resti illeggibili di dipinti a fresco. Questa scoperta ci fa fantasticare. Ci chiediamo se questi dipinti facevano parte dell’antico cenobio legato alla chiesa dedicata a Maria Maddalena, discepola di Gesù, che poi fu inglobato nella costruzione moderna. Vero o falso? Chissà! Davanti ai dipinti c’è una sedia. Qualcuno si è fermato a guardarli?

Entriamo in una stanza che era il bar: c’è ancora il bancone con il lavandino. Incastrato in una parete di mattoni c’è un camino per gli inverni. Sul muro si leggono i versi che Canossi scrisse pensando alla Ca’ dè le bàchere di Bovegno. Vanno bene anche per la Maddalena: “Gh’è l’aria dè montagna / e i fiur e j-usilì / e ‘l cör quand ché ‘l scaragna / èl vé sö ché a guarì”. Qui c’è l’aria di montagna, fiori e cinguettii di uccellini che guariscono i dispiaceri.

Seguiamo un groviglio di corridoi e stanze. In una stanza c’è ancora la cucina con il camino e una grande dispensa a parete. In un corridoio c’è un armadio senza ante. Molte piccole porte sono spalancate sul nulla. Una stretta scala di legno porta ai piani superiori ma non sembra invitare a salire, è troppo fragile. Questo piano terra è stato per decenni il rifugio del Cai. Fu realizzato, forse dal Comune di Brescia, dopo l’apertura nel 1930 della strada Muratello di Nave – Maddalena, che permise di portare malta e calcina a un’altitudine di 874 metri. Qui si sono fermati escursionisti e speleologi. Nell’inverno del ’46 si è svolta una gara di sci davanti al rifugio: l’unica. Con i pochi sciatori bresciani di allora ha partecipato Aldo Contrini di Pezzoro, campione che è stato maestro di sci del principe Umberto di Savoia.

Il rifugio è stato abbandonato nel 1955, con l’apertura della funivia della Maddalena e la costruzione dell’hotel, che all’inizio ebbe successo. Ora la struttura è divorata dall’edera, dall’erba vetriola e dalla vite americana. Solo pezzi di muro spuntano tra il verde selvaggio del bosco. Ci chiediamo, non essendo esperti, se varrebbe la pena di restaurare parte dell’edificio o l’intera struttura. Potrebbe diventare un punto di appoggio per le associazioni che amano la montagna di casa? Oggi la cima della Maddalena è raggiunta solo dagli amanti del parapendio. Poco più avanti dall’ex hotel c’è un grande prato da cui possono lanciarsi e per 20 minuti vedere Brescia e Botticino dal cielo. E se non c’è foschia, si può vedere anche il Lago di Garda.

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