Processo in tribunale: la richiesta di assoluzione che sconvolge l’opinione pubblica

Le parole pronunciate dal pubblico ministero in un processo di maltrattamenti hanno suscitato indignazione. Una donna bengalese, che aveva avuto il coraggio di denunciare il proprio ex marito, si è detta sconvolta dalla condotta del magistrato. La politica ha unanimemente condannato le tesi espresse dal pubblico ministero, chiedendo un’ispezione ministeriale per fare chiarezza sulla questione.

La presunta vittima, vittima di maltrattamenti all’interno della famiglia, si chiede dove sia finita la giustizia e la protezione tanto invocate per le donne. Si domanda se il fatto di essere una donna bengalese la renda meno importante agli occhi del pubblico ministero. Ha denunciato di essere stata picchiata, umiliata e trattata come una schiava, minacciata di essere portata definitivamente in Bangladesh.

Ciò che ha suscitato indignazione non è tanto la richiesta di assoluzione, ma le parole pronunciate dal magistrato. Secondo lui, i comportamenti di violenza e sopraffazione nei confronti della parte offesa sono il risultato dell’impianto culturale e non della volontà dell’imputato di annientare e umiliare la sua coniuge per ottenere supremazia su di lei. Secondo il magistrato, la disparità tra uomo e donna è una conseguenza della cultura della parte offesa, che aveva inizialmente accettato questa situazione.

Il magistrato inserisce quindi il caso nel campo dei reati culturalmente orientati, punibili in Italia ma tollerati nel paese d’origine. Secondo il pubblico ministero, le condotte dell’uomo sono state influenzate da un contesto culturale che la vittima ha trovato intollerabile, avendo cresciuto in Italia e conoscendo i propri diritti. La donna ha deciso di interrompere il matrimonio per adattarsi a uno stile di vita occidentale, rifiutando le tradizioni del popolo bengalese che invece erano appartenute all’imputato.

Questo non è il primo caso del genere. Solo alcuni mesi fa, il Tribunale di Brescia ha condannato un padre violento che maltrattava le figlie perché non erano considerate brave musulmane. Il presidente della sezione penale ha scritto che i soggetti provenienti da uno Stato estero devono rispettare la legge italiana. Non è possibile creare enclave di impunità all’interno di una società multietnica come quella attuale.

La sentenza è prevista per ottobre e la donna, che si è costituita parte civile contro il marito, ha dichiarato in un’intervista di attendere fiduciosa il verdetto. Non può credere che in Italia sia permesso a chiunque di fare del male ad altri impunemente solo a causa della propria cultura, che considera la donna di poco valore e l’uomo superiore. Questo non può accadere in Italia.

Le reazioni all’indignazione sono state numerose. Il ministro Roberto Calderoli ha affermato che in Italia viene uccisa una donna ogni tre giorni e ha sottolineato l’importanza di combattere la battaglia culturale e normativa per fermare questa strage. Ha dichiarato che il messaggio del magistrato bresciano rischia di creare un pericoloso precedente per Stati con tradizioni simili, come il Pakistan.

Riccardo De Corato, deputato di Fratelli d’Italia, ha annunciato che chiederà un’ispezione ministeriale urgente alla procura di Brescia per fare chiarezza sulla richiesta del magistrato. Ha sottolineato che l’Italia rappresenta un faro di civiltà nel mondo, dove non c’è spazio per chi maltratta le donne considerandole inferiori.

Luana Zanella, capogruppo di Alleanza Verdi e Sinistra alla Camera, ha dichiarato che se non si vuole tornare al delitto d’onore, i magistrati impegnati nella lotta alla violenza sulle donne dovrebbero fare stage obbligatori nei centri antiviolenza. Chiederà alla commissione parlamentare sul femminicidio di valutare questa proposta.

Anche la senatrice del Pd Valeria Valente ha condannato le parole del magistrato, sottolineando che giustificano una cultura patriarcale che va contrastata per combattere la violenza sulle donne. Ha affermato che la formazione degli operatori della giustizia è fondamentale per evitare che stereotipi e pregiudizi contro le donne influenzino le decisioni nelle aule giudiziarie. La violenza contro le donne deve essere riconosciuta come una violazione dei diritti umani fondamentali.

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