La sentenza emessa ieri nei confronti di Alessandro Giovanni Maja, un geometra di 59 anni condannato all’ergastolo, ha svelato le motivazioni dietro l’omicidio della moglie Stefania Pivetta e della figlia 16enne Giulia, nonché del tentato omicidio del figlio Nicolò, unico sopravvissuto. Secondo quanto riportato nelle motivazioni della sentenza, Maja avrebbe agito per paura di non riuscire più a garantire alla famiglia le precedenti condizioni di agiatezza.

Il presidente della corte, Giuseppe Fazio, ha sottolineato come al momento dell’intervento dei soccorritori, Maja fosse lucido e ben orientato nello spazio, senza che emergessero problemi di carattere psicologico o psichiatrico nel suo passato. Nonostante ciò, i giudici hanno evidenziato come il movente dell’omicidio sia da ricercare nella gravidanza avuta dalla moglie in occasione di una relazione extraconiugale, oltre alle difficoltà scolastiche del figlio Nicolò e alle dinamiche familiari, nonché alle difficoltà lavorative ed economiche.

È emerso che Maja non ha mai sviluppato dipendenza da sostanze o farmaci e non è mai stato oggetto di attenzione o cura da parte dei servizi psichiatrici territoriali. Nonostante ciò, l’uomo non ha mai mostrato alcuna forma di pentimento, soprattutto verso la moglie. I delitti sono stati commessi all’interno delle pareti domestiche, di notte, quando le vittime dormivano serenamente nei loro letti, pensando di essere protette da quelle pareti.

I giudici hanno concluso motivando il riconoscimento delle aggravanti rispetto alle attenuanti generiche, sottolineando che i delitti sono stati commessi da colui dal quale le vittime credevano di avere ulteriore protezione e sostegno, nel cui affetto confidavano.

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