Romana Mengaziol, 67 anni, è un’ex infermiera accusata di reclutare e finanziare mercenari combattenti con finalità terroristiche per le milizie filorusse. La donna, che ha avuto due matrimoni falliti a causa di violenze domestiche, ha costituito tre società a Londra nel 2015 che fornivano servizi di sicurezza nazionale e internazionale, compreso l’antiterrorismo.

Romana Mengaziol ha seguito un corso di formazione sanitaria a Roma per l’assistenza medica alle vittime di combattimenti militari in aree ad alto rischio e si è specializzata nel recupero di ostaggi civili e militari. Ha anche partecipato ad esercitazioni in Svizzera e a Francoforte con un’associazione legata alla Folgore.

La donna sostiene di non avere il porto d’armi, nonostante la sua passione per le armi. Afferma di aver ricevuto un tesserino da agente sotto copertura dalla Nato di Bruxelles, ma il pubblico ministero non ha voluto acquisirlo come prova.

Romana Mengaziol è accusata di aver reclutato e finanziato mercenari combattenti per le milizie filorusse nel conflitto armato in Donbass con l’esercito ucraino. I tre presunti combattenti, Roberto Fiore, Federico Comito e Luigi Sandoni, hanno ammesso di aver viaggiato verso Rostov nel febbraio 2015 per conto dell’imputata, ma sostengono di essere stati inviati da un’associazione non meglio precisata per raccogliere e distribuire aiuti in Ucraina o in Russia.

Romana Mengaziol nega le accuse, ma ammette di essere a conoscenza del fatto che i tre sarebbero andati in Ucraina a combattere. Afferma di aver cercato di dissuaderli e di non averli mandati lei stessa. Tuttavia, nelle chat, i tre si riferiscono a Romana Mengaziol come la loro leader e le chiedono conferma del fatto che lei sia il loro capo.

I presunti combattenti avrebbero poi cercato di rientrare in Italia dalla Russia, ma sono stati fermati dalle milizie ucraine al confine. Hanno chiesto aiuto e soldi all’imputata per rientrare, ma lei sostiene di non poterlo fare perché tutti i suoi conti erano in rosso.

La difesa di Romana Mengaziol sostiene che i tre presunti combattenti abbiano preso una decisione sbagliata per conto loro e che la donna sia stata incastrata in buona fede. La vicenda si è svolta davanti alla Corte d’assise e l’imputata respinge tutte le accuse.

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