Movimenti insoliti, una voce femminile e l’urlo: “Cosa stai facendo?”. Poi ancora la corsa al piano di sopra, dove la porta di casa era chiusa con il chiavistello e nell’aria c’era l’odore forte dell’ammoniaca. La vicina della donna aggredita la mattina del 20 marzo, nel suo letto a Cittiglio, testimonia nel processo per tentato omicidio in corso a Varese, e torna con la mente a quei momenti concitati.

La richiesta di aiuto

La testimone fu la prima persona che la donna aggredita chiamò per chiedere aiuto subito dopo essersi liberata dalla presa che le aveva interrotto all’improvviso il sonno. Il ragazzo che da qualche giorno ospitava in casa – una sorta di nipote per la donna di 40 anni – le era saltato addosso e aveva cercato di soffocarla usando uno strofinaccio che emanava un odore pungente. Quello dell’ammoniaca.

Convivenza difficile

“Ancora oggi faccio fatica a salire in casa sua”, ha aggiunto la testimone parlando della donna di 40 anni, che assistita dall’avvocato Simona Ronchi si è costituita parte civile nel processo contro il ragazzo di 29 anni che già prima di quel 20 marzo aveva più volte preso in casa, per agevolarlo nei suoi spostamenti riguardanti il lavoro, ma soprattutto per dargli un posto dove stare quando la convivenza con la compagna diventava insostenibile.

Davanti ai giudici, è toccato proprio alla compagna dell’imputato ricostruire quella relazione fatta di continui alti e bassi, dovuti in particolare alla presenza nella loro quotidianità della cocaina. La donna, classe 1985, non ha negato di aver fatto uso di droga in passato, ma ha affermato che era il 29enne che per farsi spariva – a volte anche per interi giorni – tra aperitivi e serate.

Aggressivo e violento

Per dire basta, la giovane si era rivolta ai carabinieri e aveva descritto il compagno come una persona aggressiva e possessiva, che la umiliava, la picchiava e, ad un certo punto, era persino arrivato a minacciarla di morte. In udienza, però, la testimone ha fatto un passo indietro: “Ero solo arrabbiata perché per l’ennesima volta era uscito senza rientrare. Con lui c’erano discussioni ma non era violento”.

Il raptus e il carcere

L’aggressione del 20 marzo, stando alla versione fornita dal 29enne dopo l’arresto, sarebbe nata da un raptus dovuto all’alcol e alla cocaina, durante il quale il giovane avrebbe confuso la donna di 40 anni con la sua compagna. Un aspetto della drammatica vicenda che l’imputato, difeso dagli avvocati Corrado Viazzo e Valentina Commisso, potrà chiarire nel corso del dibattimento. Intanto gli ex conviventi continuano a incontrarsi nei colloqui in carcere, dove il 29enne ha visto per la prima volta la bambina nata dalla loro relazione.

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