Narges Mohammadi: il Nobel per la Pace alla donna che lotta per i diritti delle donne in Iran
Il Premio Nobel per la Pace è stato assegnato lo scorso 6 ottobre all’attivista iraniana Narges Mohammadi per la sua lotta contro l’oppressione delle donne in Iran e per promuovere i diritti umani e la libertà per tutti. Nonostante sia attualmente in carcere, Mohammadi, 51 anni, ha dedicato la sua vita alla battaglia per i diritti delle donne e per i diritti umani nel suo paese.
Durante le proteste che sono scoppiate dopo la morte di Mahsa Amini, la ragazza arrestata per non aver indossato correttamente l’hijab, Mohammadi non ha esitato a far sentire la sua voce, scrivendo messaggi di solidarietà ai manifestanti dal carcere di Evin a Theran, dove è stata rinchiusa per volontà del governo iraniano di Ebrahim Raisi. È diventata una sorta di leader morale del movimento che ha spinto donne e giovani iraniani a scendere in piazza per protestare contro il regime, gridando “Donna, Vita, Libertà”.
Nata nel 1972 a Zanjan, a circa 300 chilometri da Teheran, Narges Mohammadi si è laureata in Fisica e fin dai tempi dell’università si è impegnata nei movimenti clandestini per i diritti delle donne. Negli anni ’90 ha sostenuto la campagna elettorale del riformista Mohammad Khatami, che è stato eletto presidente nel 1997 e nel 2001. Nel 2003 è entrata a far parte dell’ong Defenders of Human Rights Center, fondata da Shirin Ebadi, a sua volta vincitrice del Nobel per la Pace. Presto è diventata vicepresidente dell’organizzazione.
Una delle sue grandi battaglie è stata quella contro l’hijab obbligatorio per le donne, uno dei pilastri su cui si basa la Repubblica islamica. Ma Mohammadi è sempre stata in prima linea per la difesa dei diritti dei detenuti e dei prigionieri politici, nonché per l’abolizione della pena di morte. È diventata molto popolare tra i giovani per i video in cui, senza indossare il velo obbligatorio per le donne in Iran, rivendica le sue posizioni in aperta opposizione al governo. A causa delle sue attività, ha subito 13 arresti, cinque condanne e complessivamente è stata condannata a 31 anni di prigione. Ha anche subito pene corporali, come 154 frustate.
Nonostante gli ultimi 15 anni trascorsi quasi interamente in carcere, Mohammadi è riuscita a organizzare numerose campagne contro l’uso della tortura e delle violenze sessuali contro le donne detenute. Quando il carcere di Ervin si è riempito di persone arrestate per aver partecipato alle manifestazioni dell’ultimo anno, Mohammadi ha inviato una serie di lettere a testate giornalistiche internazionali denunciando l’uso sistematico dello stupro e delle violenze sessuali come forma di tortura. Ad esempio, nel dicembre 2022 ha denunciato alla BBC il fatto che un’attivista sia stata legata mani e piedi a un gancio sul tetto del veicolo che l’ha portata in carcere e sia stata violentata dagli agenti di sicurezza.
In un paese in cui le proteste continuano a essere represse in modo violento, con più di 500 persone uccise e circa 20.000 arrestate nell’ultimo anno, il Nobel per la Pace assegnato a questa donna simbolo di tante altre donne che si ribellano a un regime autoritario e violento invia un chiaro messaggio di sostegno al popolo iraniano.
Dal carcere in cui è rinchiusa e dove ha ricevuto la notizia del premio, Mohammadi è riuscita a far uscire questo messaggio: “Non smetterò mai di lottare per rendere concreto il concetto di democrazia, libertà e uguaglianza. Questo premio mi renderà ancora più determinata, fiduciosa ed entusiasta in questo percorso e mi aiuterà a trovare la pace. Continuerò a lottare contro la discriminazione di genere sistematica fino alla liberazione delle donne, al fianco delle madri dell’Iran. Spero che questo riconoscimento renda gli iraniani che protestano ancora più forti e organizzati”.