La famiglia Benusiglio è nuovamente scossa da una notizia che ha suscitato grande indignazione. Dopo la morte di Carlotta, stilista di 37 anni, avvenuta nella notte del 31 maggio 2016 nei giardini di piazza Napoli a Milano, la madre aveva espresso tutta la sua rabbia e delusione per l’assenza di giustizia. Ora è la sorella di Carlotta, Giorgia Benusiglio, a manifestare il suo sdegno tramite una storia pubblicata su Instagram, riguardo alla sentenza emessa ieri dalla Corte d’appello di Milano che ha assolto l’ex compagno Marco Venturi da tutte le accuse, compreso l’omicidio volontario e il reato di morte come conseguenza di stalking.
La condanna in primo grado per quest’ultima accusa era stata di 6 anni. Giorgia scrive: “Si parla di denunciare, di scarpe rosse, di panchine, ma se i giudici stessi non applicano le pene, non so più cosa pensare. Carlotta aveva denunciato più volte, aveva referti ospedalieri per le percosse subite”.
La sorella della stilista aggiunge che ci sono persone che hanno testimoniato le persecuzioni e le violenze subite da Carlotta, e lei stessa l’ha accompagnata in ospedale per curare le ferite. Eppure, due giudici donne sono riuscite a dichiarare l’assoluzione dell’ex compagno per non aver commesso i fatti, compresa l’accusa di stalking. Le percosse, inoltre, sono cadute in prescrizione dopo sette anni e mezzo.
Giorgia Benusiglio ricorda che Venturi ha parlato una sola volta della morte di Carlotta, inviando una mail a lei tre mesi dopo l’accaduto, in cui affermava che Carlotta non si era suicidata. Eppure, ieri, due giudici e sei cittadini giurati sono stati capaci di affermare che i fatti non sussistono e che si è trattato di un suicidio. Secondo Giorgia, tutto sembra assurdo.
La famiglia Benusiglio è ancora una volta costretta a fare i conti con una sentenza che ha lasciato un amaro in bocca, un’assenza di giustizia che colpisce non solo Carlotta, ma tutte le donne che hanno subito violenze, maltrattamenti e stalking. La speranza di ottenere verità e giustizia sembra svanire sempre di più, lasciando spazio a un senso di impotenza e ingiustizia.