In agricoltura, il seme certificato diventerà obbligatorio nel 2024. Questa è la parola d’ordine per ottenere l’aiuto previsto dalla Politica agricola comune (Pac) per il periodo 2023-2027. I produttori di riso, frumento duro, soia, girasole, colza, barbabietola da zucchero e pomodoro da trasformazione sono coinvolti in quest’obbligo. Il mondo agricolo sembra aver accolto questa novità, che è stata codificata anche dal ministero dell’Agricoltura con il decreto 525680 del 27 settembre scorso.

Nello specifico, i risicoltori di Lomellina e Pavese dovranno utilizzare 160 chilogrammi a ettaro di semente certificata per coltivare sia il riso convenzionale che il riso Clearfield. Questa quantità dovrà essere rispettata indipendentemente dalle caratteristiche morfologiche del terreno e dalla tecnica di semina. Anche l’Ente nazionale risi ha confermato questa disposizione, scrivendo al ministero dell’Agricoltura. Fra le organizzazioni agricole, solo Cia-Agricoltori italiani ha espresso qualche perplessità riguardo ai dosaggi minimi di seme certificato.

I quantitativi minimi di sementi certificate per ettaro sono i seguenti: per il riso Clearfield ne serviranno 160 chili, per il riso Provisia 100 chili, per i risi Clearfield Hp 40 chili e per gli ibridi 30 chili. Per tutte le altre varietà di riso, saranno necessari 160 chili di sementi certificate. Per il frumento duro, saranno richiesti 180 chili di sementi per ettaro, per il girasole tre chili (corrispondenti a 55mila semi per ettaro) e per la colza due chili (corrispondenti a 450mila semi per ettaro). Per la barbabietola da zucchero, saranno necessari 1,6 chili di sementi per ettaro (corrispondenti a 100mila semi per ettaro) per il seme nudo e quattro chili (corrispondenti a 100mila semi per ettaro) per il seme confettato. Per la soia, serviranno 70 chili per il primo raccolto e 100 chili per il secondo raccolto. Infine, per il pomodoro da trasformazione, saranno necessarie 25mila piantine per ettaro.

A partire dalle semine autunnali di quest’anno, sarà obbligatorio utilizzare seme certificato. Inoltre, gli agricoltori sono tenuti a conservare e mettere a disposizione degli organismi pagatori le fatture e i cartellini relativi al materiale di propagazione e alle sementi certificate utilizzati per il trapianto e la semina, al fine di verificare le condizioni di ammissibilità al sostegno accoppiato al reddito.

Assosementi, l’organizzazione di categoria nazionale che rappresenta l’industria sementiera, è a favore di questa novità. Secondo Assosementi, i semi aziendali, ovvero quelli prodotti dal coltivatore stesso, permettono di risparmiare in termini economici, anche se meno di quanto si possa pensare. I semi certificati, invece, sono prodotti da aziende specializzate che li rivendono ai coltivatori. Questi semi sono selezionati in modo da preservare la linea genetica della varietà. In questo modo, quando si acquista una farina proveniente da una determinata varietà di grano, si conoscono le sue proprietà. Secondo i dati raccolti da Ager-Borsa merci di Bologna, un quintale di semi certificati di grano duro costa circa 56 euro. Per coltivare un ettaro di terreno, servono circa due quintali di questi semi, per un costo totale di circa 118 euro. In confronto, un quintale di semi aziendali costa circa 40 euro, ma per ogni ettaro di terreno servono 2,4 quintali di sementi, quindi il prezzo finale per ettaro è di circa 95 euro.

L’introduzione dell’obbligo del seme certificato nel 2024 rappresenta un importante cambiamento per il settore agricolo. Sarà interessante osservare gli effetti di questa nuova normativa sulla produzione agricola e sull’economia dei coltivatori.

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