Processato il caposquadra di un’azienda novarese, estranea alla vicenda. Diciotto persone di origine marocchina costrette a versare una parte dello stipendio.

Si è svolta la prima udienza in Tribunale a Como, dove un marocchino residente a Mozzate è stato imputato di estorsione. L’accusa sostiene che l’uomo abbia chiesto soldi ai propri connazionali, su cui aveva precedentemente fatto buone parole per farli assumere in un’azienda con sede a Gozzano, nel Novarese.

Il ricatto consisteva nel fatto che Rachid Chibani avrebbe consentito loro di lavorare a patto che, una volta ricevuto lo stipendio, restituissero una cifra di circa 120 euro a testa al “protettore”. Le accuse si sviluppano tra Novara e Mozzate, poiché è emerso che i soldi in contanti venivano consegnati nella casa del cinquantenne in provincia di Como.

Secondo l’accusa, Chibani, in qualità di capo squadra, aveva potere decisionale sulla gestione del personale e avrebbe minacciato il licenziamento o la mancata conferma dei contratti a tempo di sei mesi per ottenere i soldi dalle sue vittime. Alcuni lavoratori hanno riferito che questo sistema era in atto dal 2012 e è durato fino al 2019, quando la vicenda è venuta alla luce.

Durante l’udienza, i lavoratori hanno testimoniato, alcuni dei quali provenienti appositamente dal Marocco. Uno di loro ha dichiarato: “Mi disse che se non gli avessi dato i soldi non avrei lavorato. Me lo disse fin da subito, prima di iniziare”.

La vicenda non è ancora conclusa, poiché rimangono molti testimoni da sentire. Dodici lavoratori si sono costituiti parte civile, assistiti dall’avvocato Rosella Pitrone, mentre l’imputato è difeso dall’avvocato Rita Mallone.

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