Il 25 ottobre si celebra il sacerdote di San Colombano, nel giorno della nascita e della beatificazione: la storia di due ragazzi di Orio Litta che lo conobbero

Guardando sul calendario del “Citadino” sul tavolo del computer, vedo che mercoledì 25 ottobre (proprio oggi) è il giorno del beato Carlo Gnocchi. E subito mi viene in mente di andare a trovare il mio amico Aldo. A Orio Litta abbiamo due “figli di don Gnocchi”: Aldo ed Ernesto, entrambi nati nella stessa corte a Vermezzo, a tre mesi di distanza l’uno dall’altro.

Aldo Meglioli ha compiuto ottantquattro anni e ancora riesce a raccontare bene bene una volta. Sta quasi sempre a letto, ben curato e assistito, ha ancora un buon appetito e come si vede che la televisione funziona, mi chiede: “Guardi le partite di calcio?”. “Sì” gli rispondo con il suo fare furbo. Mentre mi giro per mandare su un fazzoletto di saliva dall’emozione, guardo intorno e… mi cade l’occhio su un quadro appeso al muro.

È una bella fotografia in bianco e nero, grande e chiara, a destra si vede un don Gnocchi grande e magro, sorridente anche lui, con accanto un dottore in bianco. Con un dito della mano destra, don Gnocchi fa la mustra di segnare uno dei sei o sette figli che ha in fila a sinistra: e mi sembra proprio lui, il secondo, quello con il naso a punta e gli occhi vivaci, curiosi: Aldo!

Il dialetto sul “Cittadino”: a Orio Litta due figli di don Carlo Gnocchi. Video di Pierluigi Cappelletti. Lui a vent’anni era lì a Parma in collegio insieme al suo vicino di casa Ernesto, quando don Gnocchi è andato lì da loro per inaugurare la radiologia. Un anno prima Aldo aveva perso la gamba destra giocando sulle ruote del mulino della Venera. Grazie a don Gnocchi, è stato curato e poi ha iniziato a lavorare: vent’anni a Orio alla Mars e quindici anni alla Vortice a Tribiano, anche se doveva viaggiare non poco. E intanto il “signor Aldo” si dava da fare: all’oratorio con don Gianni Cerri faceva l’allenatore dell’Oriese e proprio lui ha inventato il “libero” lì a Orio, poi recitava con grande simpatia nella compagnia dialettale “La Bella Orio” ed è stato uno dei primi a fondare la Pro loco. Si è meritato nel 2004 “L’Uomo di Orio” e sul palco, che quasi quasi veniva su per tanti applausi della gente, con il microfono ha ringraziato don Gnocchi.

Il suo amico Ernesto Zaneletti da sessanta e passa anni è stato a Milano, ma Orio è sempre nel suo cuore. Nel ’39 quando aveva appena sei mesi ha preso la polio e è rimasto con una gamba ferita. Dopo tanta miseria e senza sapere che cosa fare da grande, ha studiato e adesso è un pensionato che sta bene, perché ha fatto carriera come direttore dell’ospedale Maggiore di Milano. “Devo tutto a don Gnocchi e alla mia famiglia” mi dice al telefono. Ernesto, che da bambino d’inverno dormiva a parte ai balli di paglia, è tornato con la famiglia a Porta Romana ed è stato aiutato da don Luigi Pessina. “Un parroco che dormiva sulla rete del letto perché aveva donato il materasso ai senza tetto.” E a Orio, quando la famiglia Zaneletti con i suoi sette figli aveva subito lo sfratto, l’arciprete don Siboni ha chiuso l’oratorio apposta per loro e li ha ospitati per tre mesi, anche se Antonio, uno dei fratelli, aveva fatto dietrofront dalla casa del Pci al palazzo in piazza. Ernesto da bambino è stato con Aldo: un anno a Torino e poi a Parma, in collegio di don Gnocchi.

E allora mi decido che è proprio il momento di raccontare qualcosa su don Carlo Gnocchi, nato nel mille novecentoventidue a San Colombano. Papa Benedetto XVI quattordici anni fa lo ha beatificato perché è stato un “Uomo” di carità e amore più disinteressato che ci sia mai stato: i mutilati di guerra e civili, e poi anche i bambini con la polio. Lui ha provato sulla sua pelle la guerra, prima come cappellano sulle montagne dell’Albania e poi insieme alla “Tridentina” in Russia dove è rischiato di restare congelato. Don Gnocchi lo ha portato a casa sua per miracolo e tornato a Milano, prima ha girato mezza Italia per portare lettere ai familiari dei morti in Russia, poi ha aiutato ebrei e partigiani a scappare in Svizzera, tanto da essere imprigionato in una cella a San Vittore. Alla fine della guerra, ha iniziato ad aiutare gli orfani degli alpini e a fare qualcosa per tutta la povera gente che in guerra aveva perso un braccio, una mano o una gamba. Ha messo in piedi un istituto per dare ai mutilati un aiuto sanitario, economico, culturale e morale. Il primo collegio è stato aperto ad Arosio, poi nel ’48 ha inaugurato a Milano la “Casa del piccolo mutilato” al Cottolengo. Con il passare degli anni, ha aperto dieci collegi e centri di riabilitazione per poliomielitici, ha creato la “Pro infanzia mutilata” e nel ’51 la “Pro juventute”. Sempre vicino ai più diseredati fino alla fine, quando in punto di morte, con in mano il crocifisso di sua madre, ha voluto donare le cornee a due bambini del suo istituto. E da lì è iniziata in Italia la trafila della legge sui trapianti delle cornee. Pensa te! Il beato Carlo Gnocchi è stato proprio un santo uomo della pedagogia del dolore innocente e… l’abbiamo avuto qui vicino, a due passi da Orio!

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