“Quando le indagini erano belle, ma belle davvero, la mattina non vedevi l’ora di arrivare in questura per sapere se c’erano novità. E in ufficio c’erano già tutti: in sottofondo il ticchettio delle dita che battevano sulle tastiere, le teste curve con le cuffie di chi ascoltava le intercettazioni… Io lo chiamavo il rumore del silenzio. Mi mancano quei tempi».
Andare in pensione dopo quarantuno anni (e due mesi) di servizio nella polizia di Stato non è esattamente un’emozione da poco. Così, per il suo addio, il sostituto commissario coordinatore della sezione Antirapine della Squadra Mobile Roberto Nuccio, classe 1963, non ha voluto lasciare nulla al caso. Ha riavvolto il nastro dei ricordi, senza dimenticare quelli più tristi e i colleghi che non ci sono più, preparando una festa come forse mai era accaduto prima in questura, con videoproiezioni tra il presente e il passato e immagini per ripercorrere questi decenni. «Sono scoppiato a piangere più di una volta» ammette.
È riuscito a stupire tutti anche proiettando il video della scena finale del film, tutto girato nel centro di Milano, L’ultima notte di Amore, con un Pierfrancesco Favino che, da assistente capo della polizia, proprio la sera prima di andare in pensione, si trova a gestire una vicenda drammatica, che lo coinvolge personalmente.
«Il nostro è un lavoro molto interessante e coinvolgente che non puoi non amare. Un libro che scorri veloce perché è fatto di migliaia di pagine e sembra non debba mai finire. Arrivato agli sgoccioli, invece, rallenti la lettura per allontanare la fine il più possibile. Poi il giorno arriva. E per uno come me, che ha trascorso in questura persino l’infanzia visto che anche mio padre era un poliziotto, diventa quasi drammatico».
Lei è arrivato alla Mobile nel 1995, quando l’Antirapine svolgeva indagini molto differenti da quelle attuali. Ci racconti cosa è cambiato. Partiamo dal passato.
«Nel ’95, mio primo anno alla Mobile, si indagava su tre rapine in banca al giorno: quelle messe a segno con il fucile a canne mozze per intenderci, da 150-200 milioni di lire a bottino. L’inchiesta seguita alla sparatoria di via Imbonati, nel 1999, quando morì il povero collega delle Volanti Vincenzo Raiola, resta uno dei maggiori sequestri di armi mai fatti in Italia. Chiudevamo l’anno con un bilancio di 150-200 colpi. Nell’arco di un paio di anni si facevano almeno due indagini importanti, che duravano anche quattro, sei mesi, di quelle che fanno parlare di sé».
E oggi?
«Rapine in banca non ce ne sono quasi più. Le ultime che abbiamo risolto riguardavano la Bpm di piazzale Accursio e la Popolare di Sondrio di via Lessona, entrambe del 2018, insieme al colpo al Crédit Agricole di piazza Ascoli per cui nel 2020 scavarono un tunnel sotto la banca. L’ultima inchiesta di questo tipo ha portato alla cattura dei Pink Panther, i serbo montenegrini che avevano messo a ferro e fuoco il quadrilatero della moda con i colpi in gioielleria».
Lei con la sua squadra si occupa dei cosiddetti «rolexari», i rapinatori specializzati nello scippare preziosi esemplari da polso. Una volta c’erano gli «artisti» napoletani. Quelli che, in scooter, spostavano lo specchietto e aspettavano che la vittima sporgesse il braccio per strappargli così l’orologio.
«Il mio gruppo all’interno dell’Antirapine, sezione guidata dal funzionario Francesco Federico e dal dirigente della Mobile Marco Calì, è specializzato nelle rapine degli orologi. Quando arrivano i «rolexari» in città a Milano, 9 volte su 10 li individuiamo. Un tempo i rapinatori dei Rolex venivano tutti da Napoli o comunque dalla Campania. Una volta qui si dotavano rigorosamente di telefono monouso, affittavano auto attraverso dei prestanome, dovevano trovare un posto per dormire a Milano. Insomma, i napoletani spendono un sacco di soldi e di energie – seguono le vittime per ore, stanno in giro tutto il giorno con lo scooter, se piove e fa freddo – per fare un colpo da trentamila euro, se va bene, come quello ai danni del Professor Lorenzo Spaggiari, il chirurgo dello Ieo, assalito l’anno scorso in San Babila. Dal 2005 ne abbiamo arrestati circa 120».
Tutta un’altra storia con i franco algerini.
«Adesso a far loro concorrenza ci sono i franco algerini, specializzati in Richard Mille, griffe di orologi da centinaia di migliaia di euro, come quello che hanno portato via al pilota della Ferrari Carlos Sainz dopo l’ultimo Gp Di Monza. I franco algerini usano un decimo delle risorse dei napoletani, anche perché sono giovanissimi: si piazzano davanti ai grandi hotel del centro, i loro bersagli sono in particolare abbienti arabi o giapponesi e dopo il colpo corrono come i conigli. Le indagini con loro sono più difficili perché non sono stanziali sul territorio: negli ultimi anni ne abbiamo arrestati almeno una dozzina».