Alessia Pifferi, 37 anni, è stata accusata di omicidio volontario pluriaggravato per aver lasciato morire di stenti la figlia Diana di 18 mesi. Durante il processo, le è stato concesso l’aiuto delle psicologhe del carcere di San Vittore a Milano per fornire una versione diversa rispetto a quella iniziale. Tuttavia, il pubblico ministero ha affermato che questo non è stato un percorso di assistenza alla detenuta, ma di rivisitazione dei fatti in un’ottica difensiva. Secondo il pm, le psicologhe avrebbero suggerito all’imputata una versione alternativa dei fatti. Inoltre, il pm ha criticato gli accertamenti fatti dalle psicologhe, definendoli inverosimili, inattendibili e privi di fondamento scientifico. Le psicologhe sono state indicate come responsabili di aver suggerito una versione all’imputata. Durante i colloqui, Alessia Pifferi ha evidenziato di non aver elaborato la perdita dei nonni e del padre e che l’uomo con cui ha trascorso i giorni fatali rappresentava per lei una figura paterna. Inoltre, si è sostenuto che le azioni di Pifferi potrebbero essere state il risultato del desiderio di costruirsi una vita familiare stabile e che non era lucida e consapevole della gravità delle sue azioni. La donna ha sempre affermato di amare la figlia e di non volerle fare del male. Il pm ha anche criticato la struttura sanitaria del carcere per aver permesso questi colloqui. Durante l’udienza di lunedì, la Corte ha conferito l’incarico di svolgere una perizia psichiatrica su Pifferi.

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