Il caso di Davide Moia, un uomo di Novara, condannato a due anni per tentata estorsione nei confronti di Fabrizio Caligara nel 2018, rappresenta uno spaccato dell’antropologia economica delle discoteche nell’era dei social media. Inizialmente sembrava solo una delle tante storie di insulti e minacce online a sfondo sessuale nei confronti di una ragazza, ma si è rivelato essere un tentativo di ricatto nei confronti di un calciatore di Serie A del Cagliari. Moia cercava di farsi assumere come “pr” da una discoteca e lucrare sulle percentuali dei tavoli fatti a nome del calciatore.
Tutto è iniziato nell’aprile 2020, quando una ragazza ha letto su Instagram alcuni post diffamatori di Moia che facevano riferimento a prestazioni sessuali a pagamento e minacce di pubblicare un video sessuale online, nel quale la ragazza sarebbe stata falsamente indicata come protagonista. La situazione avrebbe potuto finire con una denuncia per diffamazione e minacce a sfondo sessuale nel 2020, ma la Procura ha deciso di sequestrare il telefono di Moia e affidarlo a un perito informatico per analizzare il suo contenuto. Questo ha portato alla luce un mondo impensabile per chi non è familiare con le dinamiche delle discoteche.
È emerso che Moia cercava di guadagnare denaro attraverso le percentuali sui biglietti d’ingresso delle persone che entravano nei locali da ballo per accompagnare presunti vip, come ad esempio il calciatore Fabrizio Caligara, ai tavoli griffati con il nome del vip stesso. Moia aveva bisogno di un nome famoso in discoteca e cercava di convincere il calciatore a fare un accordo con lui. Secondo l’accusa, nel 2018 la vittima di questo tentativo di ricatto è stato proprio Caligara, all’epoca giocatore del Cagliari in Serie A. Quando Moia ha visto Caligara con una donna nella discoteca “La Rocca” ad Arona, lo ha ripreso più volte con il cellulare e ha pubblicato le immagini su Instagram. Quando Caligara gli ha chiesto di rimuoverle, Moia non solo ha rifiutato, ma ha anche richiesto di essere assunto come suo “public relations” nelle discoteche di Arona.
La Procura ha qualificato questa azione come tentata estorsione. La giudice Stefania Donadeo ha confermato questa qualificazione nella sentenza di due anni e due giorni, ma la pena è stata commutata in 1.444 ore di lavoro di pubblica utilità sulle ambulanze, in base a una nuova previsione della legge Cartabia. La difesa di Moia ha impugnato la sentenza in Cassazione, sostenendo che l’accordo con la Procura prevedeva due anni di pena senza i due giorni aggiuntivi di limitazioni ai movimenti extraregione.
Questo caso rappresenta un esempio significativo dell’uso distorto dei social media e delle dinamiche delle discoteche per trarre profitto personale. È importante che situazioni come queste vengano portate alla luce e che vengano adottate misure appropriate per prevenire e punire comportamenti simili.