Il 13 ottobre 2018, il chirurgo bresciano Paolo Oneda ha rimosso un neo sanguinante alla 40enne Roberta Repetto su un tavolo da cucina, senza anestesia né un esame istologico, presso il centro olistico Anidra di Borzonasca diretto da Paolo Bendinelli.

La recente accusa sostiene in parte la tesi iniziale. Il sostituto procuratore di Genova ha richiesto una condanna a sedici anni per il “santone” Paolo Bendinelli e a quattordici anni per il chirurgo bresciano Paolo Oneda (già in servizio presso l’ospedale di Manerbio) nel processo d’appello per la morte di Roberta Repetto. Roberta, insegnante di yoga di 40 anni originaria di Chiavari, è deceduta il 9 ottobre 2020 a causa di un melanoma metastatico. Secondo l’accusa, sarebbe stata “vittima di manipolazione, disinteresse e abbandono”. Il 13 ottobre 2018, è stato proprio Oneda a rimuoverle un neo sanguinante su un tavolo da cucina, senza anestesia né un esame istologico, presso il centro olistico Anidra di Borzonasca diretto da Bendinelli. Nel primo grado di giudizio per omicidio colposo (e non volontario come richiesto dal pm), sono stati condannati a 3 anni e quattro mesi per “l’incredibile sottovalutazione del rischio”. Invece, la psicologa e compagna di Oneda, Paola Dora, è stata assolta: sia la Procura generale che le parti civili hanno rinunciato ai motivi di appello.

È importante sottolineare che la condotta dei professionisti coinvolti in questa vicenda è estremamente grave e inaccettabile. La mancanza di anestesia e di un esame istologico, unita alla mancanza di attenzione e cura verso la paziente, ha avuto conseguenze tragiche. Roberta Repetto ha perso la vita a causa di un melanoma metastatico che avrebbe potuto essere diagnosticato e trattato in modo adeguato se avesse ricevuto le cure adeguate da parte di professionisti competenti e responsabili.

È fondamentale che i professionisti medici e chirurghi rispettino gli standard e le procedure corrette per garantire la sicurezza e il benessere dei pazienti. La salute e la vita delle persone non possono essere messe a rischio per negligenza o per la mancanza di professionalità.

Questa triste vicenda deve servire come monito per tutti i professionisti del settore sanitario. È necessario agire con responsabilità, competenza e compassione, mettendo sempre al primo posto il benessere dei pazienti. Non si può permettere che situazioni simili si ripetano e che altre persone perdano la vita a causa di comportamenti negligenti.

È auspicabile che il processo d’appello giunga a una sentenza giusta e adeguata, che tenga conto della gravità dei fatti e che faccia giustizia per la vita spezzata di Roberta Repetto. È importante che si tratti di un caso esemplare, che metta in luce l’importanza del rispetto delle regole e delle procedure nel campo medico e chirurgico.

In conclusione, è fondamentale che i professionisti del settore sanitario agiscano con responsabilità e professionalità, garantendo sempre la sicurezza e il benessere dei pazienti. Non si possono permettere negligenze o comportamenti imprudenti che mettono a rischio la vita delle persone.

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