La contestazione formulata nei confronti di 97 detenuti ed ex detenuti coinvolti nella rivolta del marzo 2020 nel carcere di Torre del Gallo potrebbe risentire del “pacchetto sicurezza” approvato dal Consiglio dei ministri il 16 novembre. Questo pacchetto introduce un reato specifico sulle rivolte in carcere, prevedendo pene fino a 6 anni di reclusione per chi organizza o partecipa a una rivolta con atti di violenza, minaccia o altre condotte pericolose. Questo reato è meno grave rispetto all’attuale ipotesi di reato, formulata dal pubblico ministero Valentina Terrile, che prevede da 8 a 15 anni di carcere per il reato di devastazione e saccheggio.
La rivolta nel carcere di Torre del Gallo è avvenuta il 20 marzo 2020, in concomitanza con episodi simili in altri penitenziari italiani. I detenuti protestavano contro il blocco dei colloqui e le condizioni di sovraffollamento che aumentavano i rischi di contagio da Covid. Durante la rivolta, alcuni detenuti hanno danneggiato docce, quadri elettrici, telecamere e pareti, hanno appiccato il fuoco in diverse parti del carcere e sono saliti sui tetti. Solo a tarda notte, dopo una lunga mediazione, sono tornati nelle loro celle. Tre agenti sono rimasti feriti.
Durante l’udienza preliminare, diversi avvocati hanno chiesto di modificare il capo di imputazione, derubricandolo nei meno gravi danneggiamento e resistenza a pubblico ufficiale. Tuttavia, il pubblico ministero ha insistito con l’accusa di devastazione, motivandola con alcune immagini dei danni prodotti durante la rivolta. Per 8 imputati i legali hanno chiesto di poter ricorrere a rito abbreviato, mentre per gli altri il gip dovrà decidere se accogliere la richiesta del pm e rinviarli a processo. L’udienza preliminare è stata aggiornata al 30 novembre, quando il pm entrerà nel merito delle singole posizioni degli imputati. È già stata fissata anche la data dell’udienza del 7 dicembre.

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