Il femminicidio è solo la punta dell’iceberg, sotto ci sono tutte quelle violenze che non sono visibili. Ma che possono essere fermate, esistono dei campanelli d’allarme. E lotto per un cambiamento culturale”. Queste sono le parole di Giuseppe Delmonte, che ancora oggi ricorda con dolore il tragico evento del luglio 1997, quando suo padre uccise sua madre con sette colpi d’ascia fuori dalle Poste di Albizzate. Un episodio che torna alla mente ogni volta che una donna perde la vita per mano di un uomo, aumentando la lista dei femminicidi. Oggi, in occasione della giornata contro la violenza di genere, Giuseppe ha raccontato la sua storia agli studenti del Ponti di Gallarate, con l’obiettivo di sensibilizzare i giovani su questo tema tanto attuale quanto delicato.

Giuseppe, che oggi ha 46 anni, si sposta tra le scuole per condividere la sua esperienza. Il suo messaggio si basa sull’importanza della parità di genere e sulla necessità di combattere la violenza. Gli adolescenti sono il futuro e devono difendere la propria libertà. Ma come? Il primo passo è imparare a riconoscere i campanelli d’allarme che segnalano qualsiasi forma di maltrattamento, sapendo che il femminicidio è solo la punta dell’iceberg. Inoltre, Giuseppe affronta anche la condizione di orfano di femminicidio e le conseguenze legali che ne derivano. Nonostante la legge del 2018 che riconosce tutele processuali ai figli minorenni e maggiorenni non autosufficienti della vittima di un omicidio domestico, Giuseppe sostiene che questa normativa presenta criticità e si batte affinché sia più accessibile.

La storia di Giuseppe e della sua famiglia è segnata da ossessioni morbose, violenze fisiche e psicologiche. L’epilogo peggiore è arrivato nel 1997, quando suo padre ha attirato sua madre alle Poste per farle ritirare un vaglia, tendendole una trappola con un’ascia in mano. Questo è stato l’ultimo atto di anni di maltrattamenti costanti: picchiava sua madre, la isolava e le negava il diritto di prendere decisioni. Dopo la separazione, la situazione è peggiorata ulteriormente e ha iniziato a perseguitarla. L’incubo si è trasformato in un gesto estremo. Dopo quattro giorni di fuga, suo padre si è costituito ai carabinieri in Sicilia, dove si era rifugiato da una sorella. Attualmente sta scontando l’ergastolo.

All’evento erano presenti anche il dirigente dell’istituto Ponti, Massimo Angeloni, che ha ringraziato gli studenti per la loro sensibilità e partecipazione emotiva, e la fondatrice dell’associazione Telefono Donna, Stefania Bartoccetti, che ha ricordato alle vittime di violenza la possibilità di chiedere sostegno legale e supporto alle persone giuste nel modo giusto. Inoltre, erano presenti anche il giovane rappresentante del consiglio d’istituto, Giorgio Martignoni, e il presidente del consiglio d’istituto, Gerardo De Luca.

La testimonianza di Giuseppe Delmonte è un importante richiamo alla necessità di combattere la violenza di genere e di sensibilizzare i giovani su questo tema. Solo attraverso un cambiamento culturale possiamo sperare di porre fine a questa tragica realtà.

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