Le giügiule, conosciute anche come giuggiole o žižule, somigliano a belle olive con una polpa verdina dolce dal sapore irresistibile. La mia amica Mariŝa di San March mi ha regalato delle giuggiole appena raccolte nel suo orto, vicino al bellissimo portone, una volta seduti al tavolino della Lucanda, dopo aver giocato a carte e prima di gustare le infinite partite di burraco. Mi ha detto che l’albero era carico di frutti già quasi maturi a gennaio. A volte le chiamiamo giügiule, in francese, altre volte žižule.

Ho deciso di andare a cercarle e nel frattempo, parlare di tante cose che si coltivano in questo periodo dell’anno, quando la natura si riposa. La campagna, si dice, è finita e i fagiani sono tornati a fare i conti dopo aver passato la loro “Suciasiòn da Bütéra” (tradizione lombarda). Un passo indietro a proposito di cose contadine (anche se quelli di una volta erano più profumati, lo ammetto) vorrei dirvi che sono particolari, ma facili da capire: ad esempio, “un pomo al giorno, tiene lontano il dottore da qui!”. Il tempo è cambiato. Colpa del freddo. I frutti del bosco hanno fatto poca produzione. Pochi mirtilli, more e lamponi. Sono spariti dalla pianta al consumo. Golosità (vino di brambilla, non lo dimentichiamo mai – nome del mio paese di origine della bassa lodigiana a quello del Po). Ah, cari nomi, la frutta e la verdura dell’orto. Ne ho quattro conti in casa, più o meno quelli del supermercato, ma quando si tratta di pagare e si va alla cassa e si sistemano le monete (diceva mia suocera, Arnestìna), non si ha mai una risposta.

Parlavamo delle giuggiole, una medicina senza ricetta. Saltimbanchi senza circo. Vaiolo che non lascia il segno della vaccinazione. Condivido quanto scritto nel libro dallo scrittore Césor Marchi: “La cucina dei poveri è la più sicura di gusto genuino con l’aggiunta di fantasia”. Da qualche anno abbiamo riscoperto frutti antichi. Tra questi, le giuggiole. Appena le ho viste a San March mi è venuta voglia di assaggiarle e subito mi sono piaciute. Le giuggiole sono poche, ma buone: belle olive con una polpa dolce verdina come un pisello.

La tradizione, prima dell’avvento dei merendini, prevedeva che in tutti i supermercati ci fosse un barattolo di brodo di giuggiole, naturalmente erano altri tempi. Scuola, giochi in cortile e all’oratorio, poi a casa, ben sudati, magari con la patata, cot ai forni di Scagliono o quelli di Munticèli, con il carrello in piazza morta.

Potremmo andare avanti ancora, ma la bocca, soprattutto il goloso, ha bisogno di assaggiare quanto nella tazzina sul tavolo della cucina fa bella mostra, grazie all’amica Mariŝa che tutti noi ricordiamo. Grazie alla pensione, posso far assaggiare anche una volta ai nipoti, Daniela e Giuseppe con Pierina e altri che condividono la gioia di “poverini”!

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