Milano – L’Uomo della Provvidenza. Anzi, di più: un coraggioso eroe dal sangue freddo. Riccardo Nelini ha 48 anni, nella vita di tutti i giorni fa l’operaio ma in ogni benedetto weekend cuore e passione lo portano sui campi dei tornei giovanili. È il dirigente accompagnatore degli “Allievi” Regionali 2008 dell’Ausonia (nella passata stagione ricopriva lo stesso incarico con i pari età del Sangiuliano City), squadra in cui gioca suo figlio Alex. Ma il destino ha voluto che sabato scorso entrambi fossero al Centro sportivo di via Bonfadini, quartier generale dei neroverdi: il ragazzo era stato convocato con i più grandi per la sfida del campionato Elitè Allievi under 17 contro il Fanfulla, e papà Riccardo aveva deciso di accompagnarlo. Di più: gli era stato chiesto di far da guardalinee e perciò era sul rettangolo di gioco per quella che sarebbe diventato per lui (e non solo per lui) la “partita della vita”.

Nel secondo tempo, con la sfida incanalata sul 4-0 per i padroni di casa, il dramma che non ti aspetti: Emanuele, altro 2008 ma del Fanfulla, si scontra con un calciatore avversario. Cade sull’erba sintetica, batte la testa, resta immobile. È gelo in campo, fra i presenti in tribuna, fra i dirigenti dell’Ausonia sistemati nella zona degli spogliatoi. Si capisce subito della gravità della situazione al punto che Filip Nechita, classe 2007 della squadra di casa, è il primo che cerca di prestare soccorso al giocatore avversario.

Ma in campo piomba anche Riccardo Nelini che si commuove ripensando a quegli attimi in cui sotto i suoi occhi si stava consumando una tragedia. “Mio figlio Alex era entrato in campo da pochi minuti, ero lì perché era stato convocato ed era bello seguirlo. Poi il contrasto fra un calciatore dell’Ausonia e uno del Fanfulla, quest’ultimo cadendo ha battuto violentemente la testa. È stato terribile, perché quel ragazzo prima di perdere conoscenza era in preda alle convulsioni e mi è sembrato di rivedere la scena drammatica di Eriksen agli Europei. Solo che non ero davanti alla tv… I ragazzi in campo erano disperati, c’era chi piangeva e chi chiedeva l’intervento dell’ambulanza. Filip dell’Ausonia ha avuto grande tempismo, ha messo subito Emanuele sul fianco. Ma non bastava, ero a pochi metri e mi sono buttato fra i due per tirare fuori la lingua al giocatore del Fanfulla ed impedire che soffocasse. Sono stati due minuti interminabili, ho preso anche un morso perché all’inizio Emanuele si muoveva agitandosi, poi non reagiva alle sollecitazioni”.

Coraggio e istinto paterno per salvare la vita ad un ragazzo. “Non ho fatto alcun corso di pronto soccorso e mai avrei immaginato di trovarmi in questa situazione, ma ho capito che non c’era tempo per riflettere. Anche io ho un figlio, in certi casi non ci pensi due volte. Serviva sangue freddo e mantenere la calma, per fortuna è andata tutto bene anche perché poi è arrivata la mamma di un altro calciatore dell’Ausonia che è dottoressa. E dopo dieci minuti l’ambulanza, mentre Emanuele era cosciente ma anche tanto spaventato. Prima di essere trasportato all’ospedale De Marchi di Milano è riuscito però a salutare i compagni di squadra e l’allenatore”.

Per pura coincidenza la domenica, neppure ventiquattro ore dopo l’episodio, i 2008 dell’Ausonia erano ospiti dei pari età del Fanfulla. “Ci hanno confermato che Emanuele stava meglio ed era tornato a casa dopo il controllo del neurologo, visto il brutto ematoma al capo”. Resta un’esperienza terribile che è pure una grande lezione di vita, difficile da dimenticare: “Mio figlio continua a dirmi che sono l’eroe, ed è orgoglioso di me. La verità è che per tutti questi giovanotti che hanno la sua stessa età mi sento come un papà o un fratello grande. Con loro mi tocca far rispettare le regole, è vero, ma i ragazzi vanno coccolati…”.

Ieri pomeriggio alle 17 Riccardo Nelini era ancora al Centro sportivo di via Bonfadini. Il campionato è sospeso per la pausa invernale, vero, ma si va avanti con gli allenamenti. E quel dirigente benvoluto da tutti ha ricevuto abbracci e complimenti dai presenti, dai suoi ragazzi. Passeggiava sul campo, con la divisa sociale. Provando a dimenticare quei minuti da incubo che forse gli hanno cambiato la vita. Ma che certamente hanno salvato quella del giovanissimo Emanuele.

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